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Home » Opinioni

In difesa di Fedez, che ha pubblicato l’audio della seduta con lo psicologo

Immagine di copertina

La scelta di Fedez di pubblicare su Instagram le registrazioni dei suoi colloqui con lo psicologo subito dopo la diagnosi della malattia sta facendo molto discutere. Non tutto il web ha apprezzato la decisione di rendere pubbliche le registrazioni audio che svelano uno dei momenti più critici della vita del rapper.

Nell’epoca del “tutto è condiviso e condivisibile online” sembra che nulla sia destinato a restare fuori dal buco nero del web che mastica, divora e sputa qualunque cosa gli venga data in pasto. Dunque è giusto o no far sentire la propria voce tremante, i pianti e i singhiozzi di chi sta fronteggiando la paura reale di morire per una brutta malattia in un colloquio privato con lo psicologo a chiunque abbia accesso al web? E anche la domanda: quanto è spontanea quella condivisione se esisteva una registrazione di una situazione che normalmente resta nelle quattro mura dello specialista?

Per quest’ultima domanda è difficile dare una risposta. La tendenza sarebbe pensare che la cosa fosse “premeditata”, più che altro perché la vita di Fedez – al secolo Federico Lucia – e della moglie Chiara Ferragni è esposta alla visibilità totale. Instagram è il regno di questa spudorata esposizione e i figli, nella loro incredibile innocente bellezza, sono parte integrante del pacchetto.

Oltre ai profili personali esistono decine e decine di pagine che spingono i due influencer e ce li mostrano frequentemente sulle nostre dashboard anche se non siamo fan del duo Ferragnez. Insomma, il bombardamento è quotidiano. D’altro canto, è sempre più frequente che sui vari social TikTok, Instagram, Facebook, persone famose o completamente anonime condividano senza filtri le proprie esperienze più riservate, anche e soprattutto quelle che riguardano problemi legati alla salute.

C’è chi posta foto da un letto d’ospedale, chi mentre si vaccina, chi mentre fa la chemio, chi poco prima di sottoporsi a un intervento chirurgico. Lunghi sfoghi testuali, denunce sanitarie, video: il limite lo fissa solo chi decide di pubblicare.

L’allenatore Sinisa Mihajlovic, per fare un esempio, non ha mai nascosto la malattia e ha condiviso – anche in conferenza stampa – informazioni sul suo stato di salute. Pur non avendo raggiunto il livello di esposizione di Fedez, ha sempre reso pubblica la situazione, scendendo anche nei particolari.

I social sono diventati il nostro confidente, lo specchio delle nostre velleità narcisistiche e anche il luogo dove vomitare, più o meno d’impulso, quello che la vita di riserva. È giusto? Forse no, forse non sempre. Non tanto per il contenuto di quello che rendiamo pubblico, quanto per il fatto che a volte chi si espone non è sempre consapevole delle conseguenze, e subire commenti, critiche o offese può non essere una prova sopportabile per tutti.
C’è quindi in primis il problema della vulnerabilità e del rischio imitazione che una persona nota come Fedez possa causare.

Bisogna poi però scendere nel merito e pensare a quell’audio. Un audio pubblicato a diverse settimane di distanza da quando è stato registrato. Un audio che rivela forse il lato più sincero di chi vive costantemente sotto i riflettori. Perché la paura della morte ha di sicuro il triste merito di renderci tutti uguali. Anime sole e terrorizzate.

Fedez non è certo il solo ad essersi ammalato in Italia e dalla sua ha la fortuna di avere enormi possibilità in più di accedere alle migliori cure in tempi certamente più rapidi della media italiana. Ma questa non è una sua colpa. Il suo status “privilegiato”, semmai, evidenzia quanto sia drammatica la situazione del sistema sanitario italiano.

Ma quell’audio non può essere condannato, perché resta uno sfogo e una condivisione che può forse essere definita “sana”. Perché fa bene a chi l’ascolta – che si sente meno solo coi propri problemi – e a chi la diffonde, perché normalizza una vita doverosamente sempre al top. Le “colpe” di Fedez semmai sono altre, e possono riguardare l’opportunità di esporre così tanto i figli – minori – alla visibilità urbi et orbi. Ma questo è un altro discorso che può essere affrontato in altra sede.

So bene cosa voglia dire soffrire per una malattia, affrontare cure, veder soffrire e perdere i propri cari. Ma il dolore ha la sua natura. La paura non va nascosta. Non è una vergogna.

Lasciamo ai social almeno questo merito: la democrazia del dolore. Anche condiviso.

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