Difendere la psicoterapia per tutelare il paziente: perché l’equiparazione tra psicoterapeuti e psicologi riduce le garanzie di cura
Immaginate cosa accadrebbe se si mettesse un aereo passeggeri in mano ad un guidatore di autobus. Qualcuno tra i passeggeri, per fortuna, protesterebbe. Adesso immaginate cosa accadrebbe se si mettesse un Jumbo, in mano ad autista di autobus dicendo: prendiamo dei soldi dalla cassa previdenziale degli autisti, ed usiamoli per far fare un breve corso di pilotaggio a questo autista. E ipotizzare che, per fare questo, si organizzassero corsi di 48 ore. Se accadesse davvero, qualcuno in aeroporto chiamerebbe il 118. In Italia, invece è esattamente ciò che si sta provando a fare sul delicatissimo terreno delle psicoterapie. Esattamente come quando – per favorire una lobby – si immaginò di poter far fare i chirurghi plastici agli odontoiatri. In quel caso il parlamento insorse 3” e il progetto fu accantonato.
Nella professione medica il riferimento al giuramento d’Ippocrate garantisce ancora oggi un’attenzione prioritaria alla salute del paziente: in ambito psicologico, l’articolo 3 della legge 56 del 1989 (e il codice deontologico) garantiscono che gli interventi di cura delle persone affette da disturbi siano adeguati.
In Italia, invece, in questi giorni, si è aperto un dibattito su una curiosa iniziativa dell’Ente Nazionale Previdenza e Assistenza Psicologi (ENPAP) che ha indetto un bando per permettere agli psicologi di esercitare la professione di psicoterapeuti anche senza aver conseguito la necessaria specializzazione. E ovviamente il tutto viene presentato come una grande trovata: “Vivere Meglio – Promuovere l’accesso alle terapie psicologiche per ansia e depressione”.
A prima vista l’iniziativa sembrerebbe avere finalità del tutto positive: favorire l’accesso della cittadinanza a servizi gratuiti di psicoterapia per disturbi lievi e moderati, sviluppare e applicare protocolli strutturati di trattamento di efficacia dimostrata e misurarne gli esiti. Utile, senza dubbio. La perplessità nasce, però, dal fatto che i percorsi proposti dal progetto, per quanto definiti “a bassa intensità”, siano interventi di psicoterapia che non verrebbero affidati solo a psicoterapeuti che, per diventare tali hanno dovuto sviluppare un imponente percorso di studi post lauream nelle scuole di specializzazione: quattro anni e duemila ore per ottenere questa abilitazione che, come abbiamo visto, è necessaria per legge, all’esercizio della professione. Il bando, invece, prevede l’impegno di 400 psicologi, non legittimati all’esercizio della psicoterapia, ed ovviamente questo progetto non ha alcun senso. Spiega Massimo Biondi uno dei luminari italiani della categoria (professore ordinario di Psichiatria e direttore della Scuola di Specializzazione all’università La Sapienza, e direttore dell’Unità Operativa Complessa di Psichiatria al Policlinico Umberto I di Roma): “La psicoterapia è un processo delicato e complesso, professionale”. E aggiunge: “La specializzazione dura di un quadriennio e aggiunge alla formazione di base sia di medico sia di psicologo, che non basta e non può bastare, conoscenze specifiche su diagnostica, capacità di valutazione differenziale, disegno e scelta di intervento. Il perno centrale della psicoterapia è costituito da specifiche e appropriate competenze acquisite, che si traducono in qualità della cura dell’intera persona e non solo dei suoi sintomi. Le rating scale, anche le migliori, ne ho fatte e tradotte tante in decenni di lavoro clinico e di ricerca, sono di ausilio al clinico ma non lo sostituiscono. Ho molti dubbi – aggiunge il professor Biondi – che sia appropriato assegnare un paziente a un trattamento o a un altro a seconda dei punteggi di una scala. È ad alto rischio di errori diagnostici. Solo il clinico esperto, con formazione adeguata (quadriennale) può fare questa valutazione, certamente anche con l’appoggio di scale. I programmi delle scuole di specializzazione di psichiatria e psicoterapia riconosciute – osserva ancora il professore – hanno materie, centinaia di ore, prevedono la supervisione individuale di casi clinici da parte di un tutor, una formazione con prolungate frequenze. I criteri e i programmi sono stabiliti dal MIUR, revisionati dai Collegi dei docenti universitari”.
Per i rappresentanti di alcune delle principali società scientifiche di psicoterapia, dunque, l’accesso alla terapia, previsto dal bando, da parte di personale non specializzato riduce le garanzie di cura per i pazienti, proprio nel momento storico in cui la società che sta subendo i terribili contraccolpi della pandemia da Covid-19.
“Quando il cittadino va da uno psicoterapeuta – dice il professor Biondi – deve sapere che si sta rivolgendo a una persona che ha studiato in maniera appropriata, che può valutare se ha bisogno di una terapia e di un determinato tipo di trattamento: il paziente ha di fronte a sé una persona che se fosse un pilota d’aereo avrebbe centinaia di ore di volo alla spalle, non una persona improvvisata senza brevetto di volo. È importante che il cittadino salga su un aereo guidato da piloti patentati”.
Non si capisce il senso del bando ENPAP, dunque, visto che in Italia non mancano psicoterapeuti da impiegare in un progetto con finalità di cura e accesso facilitato alla psicoterapia, visto che la legge, come sappiamo, impone il requisito del titolo di specialista di psicoterapia per esercitare la professione (articolo 3 della 56/89). Aggiunge ancora Biondi: “La legge italiana è unica in Europa nella difesa dei cittadini perché evita che si imbattano nei cosiddetti ‘terapeuti selvaggi’. Ma non si tratta di una questione di titoli burocratici: “Uno psicoterapeuta – aggiunge il professor Biondi – sa che cosa può esserci dietro a un sintomo e conosce la diagnosi differenziale, chi non ha formazione, invece, non vede oltre il sintomo. Soltanto noi abbiamo l’albo che vuol dire un percorso riconosciuto, oggettivo, legale, che documenta le competenze”.
L’equiparazione tra le competenze di psicoterapeuti abilitati e quelle di psicologi tout court (magari bravissimi, ma privi di addestramento quadriennale), svilisce la professionalità di chi ha intrapreso i percorsi formativi previsti dalla legge e esporrebbe gli psicologi non specialisti all’accusa di “esercizio abusivo della professione”.
I sostenitori di questo progetto dicono: in alcuni paesi, come la Gran Bretagna grazie ai protocolli brevi, hanno avuto buoni risultati a costi contenuti. A me non pare un esempio da seguire, se è vero che nel Regno Unito gli interventi a bassa intensità vengono erogati da professionisti che nella vita fanno gli infermieri, gli assistenti sociali o gli educatori.
Anzi, questo esempio rafforza la critica di chi ha a cuore il benessere dei pazienti e il buon esito del progetto, chi mai potrebbe immaginare che psicologi non specialisti e nemmeno specializzandi, in soli due giorni di formazione previsti dal progetto, possa acquisire una esperienza anche solo lontanamente paragonabile a quella di chi – i famosi “piloti” di cui parla Biondi – hanno duemila ore nelle scuole di specializzazione? Chi mai potrebbe passare dalla guida di un pulmino ad un Jumbo, con un corso di soli due giorni? Ecco perché bisogna preoccuparsi dei 12000 pazienti che dovrebbero usufruire di queste terapie.
“Se nel Regno Unito alcuni interventi circoscritti e limitati sono stati addirittura affidati ai social workers – osserva ancora il professor Biondi – è perché il servizio di salute mentale inglese è in condizioni critiche e non dispone di abbastanza psicoterapeuti. In Italia invece, dove abbiamo molti psicoterapeuti, affidare interventi di psicoterapia a personale impreparato è folle”.
Ecco perché la richiesta è semplice: gli interventi “a bassa intensità”, se affidati a psicologi non specialisti, non possono essere definiti come “terapie”. La diagnosi e il trattamento dei pazienti con disturbi possono essere affidati solo a specialisti o almeno a specializzandi in supervisione.
Conclude Biondi: “se questo non accade i cittadini rischiano di incorrere in diagnosi sbagliate, in mancate diagnosi, in trattamenti inadeguati: con il rischio di non guarire. E – per giunta – di spendere molti soldi a vuoto”.