Caro Di Maio, la strategia del silenzio sul caso Zaki è solo l’ennesimo regalo all’Egitto
LA VIDEOLETTERA DI RICCARDO BOCCA: 13 MAGGIO 2021
Carissimo Luigi Di Maio,
le invio questa videolettera perché lei – dall’alto della sua carica di ministro degli Esteri – ha rilasciato dichiarazioni al di là dello dello sconcertante riguardo al caso di Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna in carcere dal 2020 al Cairo con accuse legate alla sua attività giornalistica e politica.
“Tutte le iniziative”, ha detto in televisione, “sono meritorie, ma più aumenta il clamore mediatico del caso e più l’Egitto reagisce irrigidendosi”. Non solo. Ha anche detto che non bisogna illudersi di ottenere qualcosa con il clamore, ma anzi ha invocato la strategia del silenzio: quella in cui la società civile sta zitta zitta in attesa di un lieto fine. Parole che avviliscono, ancora prima di stupire.
Perché, se c’è un regalo macroscopico da non fare ai regimi che sono allergici alla libertà di espressione, è proprio quello del silenzio internazionale: ovvero quel miope velo che ottunde la gravità dei fatti e che agevola qualunque tipo di prepotenza politica. L’esatto opposto, caro Di Maio, dell’impegno militante per i diritti umani che dovrebbe animare noi tutti. E, per giunta, una strategia ancor più autolesionista nel caso Zaki, visto il repertorio di falsità e vergogne che sono state messe in campo dal governo egiziano nella tragedia di Giulio Regeni.
Per questo non basta la sua generica dichiarazione di voler liberare al più presto Patrick Zaki e di volerlo restituire alla sua famiglia. Su questo – va da sé – siamo d’accordo tutti, ministri e comuni cittadini. E però è urgente, impellente, fondamentale, come ha invocato Amnesty International, alzare la voce e non certo abbassarla.
Ciò non toglie – sia chiaro – che sottotraccia il nostro governo debba svolgere un’importante opera diplomatica. Però, caro Di Maio, senza una mobilitazione collettiva e senza una costante pressione dei media, il grande rischio è di sbattere contro un muro che ci ha già fatto molto male.
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