Da attivista a “migliore”: così Di Maio ha ucciso quel Movimento che lui stesso ha contribuito a fondare
Gran parte del cambiamento radicale che il M5S ha messo in atto nell’ultima legislatura, e che gli è valso un forte calo dei consensi rispetto a quel 33% maturato nelle ultime politiche, ha un nome e cognome: Luigi Di Maio.
In queste ultime ore si fa strada una narrazione vittimista dell’attuale ministro degli Esteri, che lo dipinge come l’ultimo responsabile in un movimento finito, a un passo dall’addio ai pentastellati che lui stesso ha contribuito a fondare.
Si ostina il ministro a guardare a un centrismo in divenire, entrando in un consesso moderato e funzionale al progetto Draghi Bis, con una prima linea che da Calenda a Beppe Sala, a Renzi vedrebbe schierato anche Luigi Di Maio. Sarebbe l’ultimo atto trasformista di un abile politico, oggi dipinto alla stregua di uno statista dagli stessi commentatori che fino a pochi mesi fa non esitavano a sottolinearne i congiuntivi con tanto di penna rossa sull’orecchio.
Il governismo che ha caratterizzato il M5S, portandolo agli apparentamenti più indicibili, proprio per quel movimento che dalla prima ora aveva predicato di non allearsi con nessuno, si evidenzia in un trasformismo sfrontato, senza alcun dubbio né ritegno, che ha visto in 5 anni Gigino passare dal ruolo di Vice Premier nel binomio con Salvini, a quello di ministro del Lavoro, a quello di ministro degli Esteri confermato per ben 2 volte.
Oggi Di Maio rivendica un filo atlantismo di cui dispensa il verbo ai profani filo-putinisti, nel tentativo di difendere il Governo Draghi da una legittima mozione sull’invio delle armi in Ucraina. Non ricordiamo però questo suo prodigarsi alla difesa della Presidenza del Consiglio, quando – sotto gli attacchi di un Renzi appoggiato dalla quasi unanimità della stampa nazionale – il Governo Conte Bis dovette cedere il passo al Governo dei Migliori. Ecco, tra i migliori, Luigi Di Maio è sempre presente. Non ne facciamo certo una questione di merito, ma di coerenza, perché il contrasto alla politica del continuo adattamento e dell’abile trasformismo nella più classica tradizione democristiana è esattamente il motivo per il quale il M5S è nato.
Ricordate il vincolo di mandato? Molte delle piroette del Movimento sono dovute a una certa resilienza verso le contraddizioni spesso palesi, per le quali oggi gran parte del suo elettorato si è dissolto in altri lidi. Ora, sull’altare della giustizia morale di stampo governista un consesso multilaterale, che va dagli alleati stessi del M5S alla gran parte della stampa, si appresta ad attaccare Conte quale anti-europeista, anti-atlantista e filo-putiniano, per aver osato mettere in discussione l’invio di armi a Kiev. Questo nonostante, con la sua azione, l’ex primo ministro sia il solo che voglia seriamente rappresentare una posizione ormai permanente in tutti i sondaggi e da molti mesi espressa dalla maggioranza degli italiani.
Le obiezioni di Conte sono dunque legittime, perché il Paese è in ginocchio sul piano energetico, con enormi problemi indotti dalla crisi idrica, un comparto della piccola media impresa che rischia il default, le famiglie impoverite dall’aumento di tutti i beni di consumo e da livelli di reddito tra i più bassi della UE. Non si capisce perché le priorità non siano queste piuttosto che l’invio di armi in Ucraina. Tutto ciò senza considerare il fatto che propio l’invio di armi rischia di aggravare la crisi in cui versa l’Europa, generando una guerra perpetua e profilando una crisi economica senza precedenti, con un’inflazione che punta al 10% e un ritorno alle politiche di austerity.
La questione Di Maio sembra assumere una rilevanza strategica nel cercare di arginare le istanze che Conte pone in rappresentanza di una grande fetta del Paese, con la creazione ad hoc di un conflitto interno al Movimento e alla maggioranza, tale da sviluppare un’ennesima macchina del fango, con un sistema mediatico non contento dei bassissimi livelli toccati con la pubblicazione delle liste di proscrizione del Copasir, pronto a una nuova crociata contro Conte e a favore di Di Maio. La questione non è più se stare o uscire dal Movimento, visti i bagni di folla che Conte riscuote in tutto lo stivale. Forse converrebbe a lui per primo uscire e fondare un movimento alla Melanchon, giusto per citare il vero vincitore delle recenti elezioni francesi, che si è dichiarato apertamente contro l’invio delle armi e contro la deriva guerrafondaia della crisi Ucraina.
La questione è come rappresentare al meglio le istanze che vengono da un elettorato sfiduciato e diffidente, come superare il concetto di élite democratica, che sempre più spesso si fa snob verso le istanze del popolo, liquidandole come populiste, senza rendersi conto di essere diventate impopolari. Il ministro Di Maio oggi sceglie legittimamente di difendere il Governo, lo fa però attaccando il suo stesso partito con velate accuse di filo-putinismo. Allo stesso modo accusa i suoi di anti-europeismo, come se Conte – primo promotore del Recovery Fund – non abbia già dimostrato nei fatti la sua convinta politica europeista tesa a un’Europa dei popoli e della cooperazione e non solo delle cancellerie. Attacca di presunto anti-atlantismo, come se stare nella Nato significhi essere subalterno alle scelte degli Stati Uniti, non avendo pari dignità nel rappresentare la posizione dell’Italia e dell’Europa tese a tutelare gli interessi di pace e prosperità del vecchio continente.
Ci si aspettava qualcosa di diverso da un atlantismo acritico e un servilismo governista da chi doveva aprire il parlamento come una scatoletta di tonno…