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La brutta figura di “Chi l’ha visto” sul caso di Denise Pipitone

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C’è un bel film di Clint Eastwood, Changeling, che racconta la storia sconvolgente (e vera) di una mamma a cui nel 1928, a Los Angeles, sparisce il figlio. Quella mamma, interpretata da Angelina Jolie, subirà un’ulteriore violenza: il sistema, anziché aiutarla a ritrovare il suo vero figlio, tenterà di convincerla di averlo ritrovato, tanto che la polizia le riconsegnerà un bambino non suo. Un estraneo, che però deve servire a dare lustro al sistema, a lucidarne pubblicamente l’efficienza.

Ho pensato a Changeling mentre assistevo sbigottita alla telenovela triste sulla piccola Denise Pipitone, in questi giorni, masticata da tv e giornali con un sensazionalismo spietato e imprudente. Alla storia di questa madre, Piera Maggio, a cui i media stanno raccontando che la figlia forse è in Russia, portata lì dagli zingari cattivi.

La storia è ormai nota: una ragazza di 20 anni abbandonata quando era piccola, tale Olesya Rostov, va in un programma tv in cerca di sua madre. Un’infermiera russa che vive in Italia vede il programma e dice “Oddio, ma è tantoski similoski a Denise Pipitone!”. Chiama Chi l’ha visto e Chi l’ha visto, che ci vede benissimo, ci monta su un caso ben sapendo che la scelta è scivolosa. E sapendo pure, però, che è anche un’occasione ghiottissima per rimpinguare gli ascolti.

Confesso che la puntata di Chi l’ha visto non l’avevo guardata, per cui me la sono andata a ripescare per capire bene come fosse stato trattato il tema, per arrivare a questa degenerazione su tutti i media, tra “avremo il dna in diretta” e “l’avvocato di Piera Maggio dice che non è Denise, ah no, ce lo dice la tv russa stasera”.

La Sciarelli inizia gongolante, annunciando che il loro spot settimanale con le anticipazioni sulla Denise russa “è stato ripreso da tutti, ha avuto un effetto dirompente!”. Dopo il momento “compiacimento dursiano”, ci tiene ad ammantare di romanticismo un’operazione cinica dal suo primo vagito: “Ci siamo chiesti il perché di tanta attenzione su questa notizia e la risposta è che c’è sete di avere una bella notizia, in questo periodo, la gente ha bisogno di credere nel lieto fine!”.

Quindi non c’è curiosità morbosa per via del clamore con cui un mezzo gossip è stato spacciato per possibile risoluzione di un caso di cronaca nazionale, no, è che la gente ha bisogno di credere alle favole. Non sono loro ad essere cinici, siamo noi ad essere ingenuotti.

Segue poi il secondo momento dursiano della Sciarelli, altrimenti detto “Mi dissocio da me stessa”, ovvero: “Stiamo per dedicare mezza trasmissione a questa probabile bufala e io lo so benissimo quindi cammino su un campo minato, dunque mi tutelo con la premessa: sarebbe troppo bello per essere vero”.

Lo ripeteranno come un mantra sia lei che la sua inviata: “Sarebbe troppo bello per essere vero, ma ve lo vogliamo raccontare lo stesso”. Sottotesto: mal che vada, quando verrà fuori che abbiamo cavalcato una bufala, diremo: “L’avevamo detto che era troppo bello per essere vero!”.

E in effetti, la realtà a cui gli spettatori si trovano ad assistere, fa abbastanza schifo. Il resto della trasmissione è un susseguirsi di suggestioni, furbate, immagini e mezze frasette orientanti al livello dei peggiori servizi de Le Iene: foto scelte con cura in cui la mamma di Denise appaia il più possibile simile alla ragazza russa o in cui due normalissime espressioni di due normalissime donne diventano “guardate il modo di corrucciare la fronte!”, quasi a suggerire che esista un altro modo di corrucciare la fronte ma che il loro sia identico e speciale, che sia scolpito nel dna.

E poi – qui siamo ai confini del dadaismo televisivo – “è vero che le voci cambiano, però noi le abbiamo volute mettere a confronto!”, dice a un certo punto la Sciarelli. E mostrano un vecchio video in cui la piccola Denise, a 4 anni, dice qualche parola, per poi passare a sentire la tizia russa che racconta la sua storia. Il senso del confronto vocale tra una bambina di 4 anni che parla italiano e una di 22 che parla russo è mistero fitto.

Seguono poi altre mani avanti della Sciarelli: “C’è il cuore ma anche la scienza, quindi vedremo che dice il dna!”. Verrebbe da chiederle dove sia il cuore nel montare una storia costruita su una montagna di fuffa e creare illusioni, senza aspettare prima la scienza, ma vabbè. E ancora: “Se Olesya non è Denise, è pur sempre una ragazza che cerca la madre, uniamo le forze, troviamola!”.

Certo, l’hanno trovata tra le steppe russe, il caso lo risolviamo noi, da Frascati. C’è anche l’inviato Rai in Russia che, con aria più che perplessa, fa sapere che, appunto, la trasmissione tv sta organizzando un test del dna e che la ragazza è andata in un villaggio con una troupe ad incontrare non si sa bene chi. Questione che viene lasciata cadere nel nulla perché, chissà, potrebbe suggerire una soluzione del caso non proprio utile alla fuffa della pista italiana.

La fuffa, sostanzialmente, del rapimento da parte dei rom, un bel suggerimento, un bel pregiudizio buttato lì, in pasto agli spettatori, per una quarantina di minuti, sempre però con una piccola dose di mani avanti anche qui: “Ma i rom perché dovrebbero rapire, hanno già i bambini loro…”. Insomma, la bomba è sganciata.

Le tv, i giornali, i siti non si sono occupati d’altro, nei giorni successivi. Epico lo sguardo corrucciato di Barbara D’Urso (uguale a quello di Olesya, magari è sua zia) che durante un suo programma si mostra indignata perché il conduttore dello show russo ha diffuso una rosa di nomi che sarebbero le possibili identità di Olesya. La D’Urso, quella che diede il risultato della comparazione tra dna di Paola Caruso e madre presunta in diretta, “dopo la pubblicità!”.

E poi, oggi, l’avvocato di Piera Maggio, la mamma di Denise, che smentisce di aver rivelato, come riportato da alcune testate, che i risultati del dna arrivati dalla Russia escludono che Olesya sia Denise. E specifica: “Ho consegnato i risultati scientifici in procura, ma non anticipo nulla, sarà la tv russa a dire stasera come stanno le cose”.

Insomma, la verità sì, ma a favore di telecamera. E un’altra bella iniezione di ascolti per la Sciarelli e il suo omologo russo. A proposito, i due conduttori, per stile e cinismo, si somigliano parecchio. Chissà che alla fine i parenti, in questa storia, non siano loro. Ma non ci sbilanciamo: attendiamo il dna.

Leggi anche: No, il catcalling non è affatto un complimento (di Selvaggia Lucarelli)

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