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Dal decreto sicurezza al bavaglio per i giornalisti: così il Governo Meloni ci porta verso il modello Orbán

Immagine di copertina
Credit: AGF

“Signori! è tempo di dire che la Polizia va, non soltanto rispettata, ma onorata. Signori! è tempo di dire che l’uomo, prima di sentire il bisogno della cultura, ha sentito il bisogno dell’ordine. In un certo senso si può dire che il poliziotto ha preceduto, nella storia, il professore, perché se non c’è un braccio armato di salutari manette, le leggi restano lettera morta e vile. Naturalmente ci vuole il coraggio fascista per parlare in questi termini”. Così parlava Mussolini quasi un secolo fa all’inizio della repressione e della dittatura volte a punire qualunque manifestazione di dissenso o comunque contraria al regime e alla sua ideologia.

L’ultimo decreto sicurezza varato dal governo è l’inizio della messa in atto di un piano preciso che si può riassumere nell’espressione, già usata dall’amico Orbán, “democrazia illiberale”. Se volessimo usare una parola sola, potremmo scegliere “democratura”.

Il decreto sicurezza è parte di una strategia più ampia e precisa che esplode come una bomba a grappolo dando vita ad azioni mirate che deflagrano a più livelli. Si articola, quindi, su almeno quattro piani.

Il primo con l’introduzione di nuovi reati e inasprimento delle pene. Il secondo con un piano di “educazione” all’ordine che parte dalle scuole che di merito non ha nulla ma che sa molto di punizione e di giudizio sulle persone e non sul rendimento. Il terzo, più subdolo ma molto attinente al piano, è l’invito nostalgico di Lollobrigida alle/ai giovani di “servire la Patria nei campi con un’attività di valore agricolo”. Il quarto piano è l’attacco al quarto potere e la distruzione della separazione dei poteri.

È un’operazione studiata con precisione. Il decreto sicurezza è caratterizzato dall’introduzione di almeno una ventina di nuovi reati e caratterizzato da fil rouge unico e ben visibile: nessun dissenso è possibile. A nessun livello. Di sicurezza, in questo decreto, ci sono solo il nome e la vergognosa propaganda.

Non è volto ad aumentare la sicurezza in città o a fare sentire i cittadini più sicuri. Non colpisce la microcriminalità né la criminalità organizzata infiltrata a tutti i livelli. È un provvedimento che possiamo definire “panpenalismo” o “populismo penale”. Molti dei reati già esistevano e, a parte l’obiettivo propagandistico e politico, non c’era nessuna necessità di intervenire.

Il decreto include anche un certo razzismo non celato come quello contro le persone rom, chiamate “borseggiatrici rom”, che dovranno andare in carcere anche con le loro figlie e i loro figli piccolissimi. Non bastava il già elevato numero di bambine/i nelle carceri che non hanno mai visto un altro bambino o giocato in un parco. Il vile tentativo di colpire queste persone tanto citate dal re del Papeete Salvini, va oltre il diritto e colpisce volutamente una precisa categoria di persone solo per la loro diversità.

Colpire Ultima Generazione, le lavoratrici e i lavoratori che scioperano bloccando una strada, le studentesse e studenti che manifestano fuori dalla scuola come a Pisa a febbraio di quest’anno per la Palestina, significa calpestare un diritto non solo costituzionale, ma un diritto umano. Trasformare un illecito amministrativo in un illecito penale per chi interrompe il regolare traffico stradale o ferroviario col proprio corpo è degno dei regimi più totalitari. Perché va a colpire direttamente il diritto di manifestare il proprio dissenso.

C’è poi un altro reato che va a colpire proprio i diritti umani, quello di “rivolta all’interno dell’istituto penitenziario”. Il reato prevede pene da uno a otto anni di reclusione con aggravanti che arrivano fino a vent’anni, per chiunque partecipi ad una protesta all’interno di un carcere, ma anche, più semplicemente, che eserciti resistenza, anche passiva, all’esecuzione degli ordini dati.

Viviamo in un Paese che considera il carcere come un luogo di pura e semplice punizione, costringendo le persone a vivere in condizioni disumane e prive di ogni progetto di riabilitazione. Esistono due categorie di persone, quelle che pensano che del carcere si debba buttare la chiave e quelle che credono nell’importanza della riammissione delle persone nella società, ovvero il carcere rieducativo o riabilitativo. E il governo fa, chiaramente, parte del primo gruppo.

I numeri dei suicidi nelle carceri (carcerati e personale penitenziario) sono drammatici e riflettono esattamente lo stato di abbandono di quei luoghi dimenticati da dio e dagli uomini. Reprimere e punire con pene severe anche la resistenza passiva, significa dare alle persone una pistola in mano e dire “sparati”.

Il governo inserisce nella categoria carceri anche i CPR e stabilisce le stesse regole: nessun dissenso o resistenza è tollerata. Il paese dovrebbe insorgere anche per questa categoria. I CPR non sono carceri e chi vi “soggiorna” non ha commesso reati né è passato per un tribunale. Semmai, i CPR dovrebbero essere più tutelati perché non vi sono nemmeno le più basilari strutture obbligatorie come nelle carceri. Per i CPR, lo stato spende soldi solo per fornire ai carcerati psicofarmaci per tenerli buoni.

“Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”, diceva Voltaire e Meloni, oggi, calpesta violentemente la civiltà del nostro paese. Parallelamente e con un tempismo quasi diabolico, arriva il decreto scuola del ministro Valditara.

Pensavate che il decreto scuola avrebbe toccato temi urgenti come il degrado delle strutture, il riscaldamento mancante, il materiale mancante, il tema dell’organico, la situazione del copro docente? Illusi. Il decreto di Valditara è, in parole brevi, “ordine e disciplina” per le studentesse e gli studenti. Con questo decreto, il governa ci spiega che per loro si pensa di costruire il soldatino di domani, invece di costruire la figura del cittadino pensante di domani.

La riforma punitiva e repressiva della scuola è una rappresentazione plastica della concezione autoritaria, autocratica e antiquata di questo governo. L’apprendimento basato sulla paura ricorda molto la “fascistizzazione” di mussoliniana memoria con la sua opera di riorganizzare la gioventù dal punto di vista morale e fisico.

Il merito, di cui si vanta il ministro da due anni, è basato solo sul comportamento diligente ma insegnato con la paura, non con la cultura, l’apprendimento, lo sguardo sul mondo, il concetto di accettazione ed inclusione, la diversità, l’affettività. Quindi, repressione a scuola, repressione se ti ribelli, repressione se manifesti, repressione se ti arrestano, repressione se fai resistenza. È la torva deferenza della paura e della schiavitù.

Il terzo pilastro del piano “ordine e disciplina” è il servizio civile nell’agricoltura. È una naja perché, quando sollecitato su una somiglianza tra il suo invito a offrire le proprie braccia per la Nazione e la proposta della maggioranza di reintrodurre la leva militare obbligatoria, risponde: «Sono due cose parallele». Non lo nega, non lo esclude. Risponde che sono cose parallele e significa che si inserisce perfettamente nel piano della maggioranza per un’Italia sempre più somigliante a quella del secolo scorso.

L’invito nostalgico al ritorno nelle campagne, già proposto un anno fa, sempre da Lollobrigida insieme al collega Andrea Abodi, ministro dello sport, ci riporta, anche questo, al secolo scorso con l’ONB – Opera Nazionale Balilla. Per Mussolini, lo sport era la rappresentazione della potenza e dell’identità nazionale e della “non devianza giovanile”. Non devianza.

Se andiamo nel programma di FdI per le politiche di due anni fa e, nel capitolo “Largo ai giovani”, troviamo nel paragrafo sull’istituzione del diritto allo sport, la seguente frase: “Promozione di stili di vita sani per contrastare il disagio e le devianze giovanili”. Non serve aggiungere altro.

Infine, colpire il quarto potere. Colpire a tutti i costi il giornalismo indipendente e d’inchiesta per la loro tenuta. Nella storia moderna, una comprensione comune del principio di libertà di stampa è stata formulata dalle Nazioni Unite nel 1948. È sancito dall’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani, insieme al diritto alla libertà di espressione.

Colpire il giornalismo, le/i giornalisti che, quotidianamente, cercano di portare a tutte le cittadine e cittadini, informazioni sulla politica, il governo, le istituzioni, ciò che succede nel mondo, significa censurare e imbavagliare attraverso la paura. Significa mettere cittadine e cittadini in condizioni di non sapere nulla se non tramite la propaganda. E i tentativi di querelare e denunciare alcune testate giornalistiche fanno parte di questo piano.

A questo attacco a grappolo, si aggiunge la narrazione tossica sugli immigrati, confondendo richiedenti asilo o profughi con coloro che sono nati qui o che sono arrivati piccolissimi, che in Italia hanno vissuto, studiato e lavorato. I richiedenti asilo definiti come potenziali terroristi e i cittadini assimilati ai primi.

La società di domani non sarà quella del secolo scorso e non vederlo è da pericolosi incoscienti. Nessuna società sarà mai fatta di soli autoctoni etnicamente puri. Il mondo ha subito cambiamenti epocali e la società di oggi e di domani ha e avrà molte sfaccettature sociali e culturali. Che lo vogliano oppure no. È dai banchi di scuole che si costruisce il senso di appartenenza ad una comunità. La cittadinanza non può essere un premio al merito.

Con la repressione e l’esclusione delle minoranze, si distrugge per sempre l’amore e la dedizione ad una nazione. La repressione, l’esclusione e la ghettizzazione spaccano la società in mille pezzi e non si potrà governare se non con il dominio: I pieni poteri ad una sola persona. Tout se tient.

Con questa strategia a grappolo, Meloni prepara il terreno per la madre di tutte le riforme: il premierato che le consentirà di regnare e di farlo molto a lungo. Se distrugge lo Stato di diritto e reprime il consenso ad ogni livello e ad ogni età, crolla la Repubblica e tutto l’impianto democratico. Dobbiamo difendere la separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) e difendere, quindi i principi giuridici fondamentali dello Stato di diritto e della democrazia liberale.

“Se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che la scuola a lungo andare è più importante del Parlamento e della Magistratura e della Corte costituzionale”. (Piero Calamandrei).

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