La chiamata dei riservisti e un mondo sempre meno sicuro
Lo scorso gennaio, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha annunciato che circa 10mila riservisti dell’esercito saranno richiamati alle armi. Un dato che di per sé non è determinante per cambiare in modo decisivo la portata delle nostre armate: come mostrano i vari conflitti in corso, una mobilitazione di ampia portata ha numeri ben diversi.
Proprio per questa ragione, ha poco senso mettersi a fare dietrologie su un possibile intervento del nostro esercito in qualcuno dei fronti caldi del mondo celato dietro questa iniziativa. Tuttavia, la decisione del ministro rivela una cosa dolorosa, difficile da accettare ma che va affrontata: il mondo di oggi non è un posto sicuro, e in questa insicurezza in cui la diplomazia sembra uno strumento arrugginito e l’ordine globale è più che mai in fase di deterioramento, in assenza di un equilibrio funzionante per molti Paesi la corsa alle armi sembra essere una forma di garanzia per evitare di essere una vittima sacrificale di questi sommovimenti.
Negli ultimi anni, soprattutto dopo la fine della Guerra Fredda, molti Paesi hanno ridimensionato le loro armate, venduto parti del loro arsenale, abbandonato il servizio di leva, oggi relegato per molti a ricordo del passato, pensando che in un mondo sempre più globalizzato la guerra sia qualcosa da confinare in angoli remoti che ci riguardano marginalmente, permettendoci di stanziare i fondi usati un tempo per la difesa in altri servizi dei cittadini.
Oggi, però, anche qui, nel vecchio continente, sembra che la guerra sia qualcosa che ci riguarda da vicino. Anche noi, al sicuro sotto l’ombrello protettivo della NATO e del suo articolo 5 che impegna tutti i membri dell’alleanza (tra cui tre potenze nucleari) a intervenire qualora uno di essi venisse attaccato.
L’attacco russo contro l’Ucraina del 24 febbraio 2022 ha dato una spallata a un ordine precario, favorendo l’insicurezza in tutto il mondo: non è un caso che da quel momento abbiamo assistito a una recrudescenza del conflitto in Nagorno-Karabakh, all’attacco su larga scala di Hamas contro Israele con la conseguente guerra a Gaza, a un deteriorarsi progressivo della situazione nell’Africa occidentale e in tanti altri fronti. E per questo abbiamo assistito a ingenti investimenti nella difesa da parte di molti Paesi: dal riarmo tedesco e giapponese fino alla Polonia, che ha fissato al 5 per cento del PIL l’obiettivo di fondi alla difesa. Con la Francia che più volte ha avvertito: l’Europa deve essere in grado di difendersi da sola, e non pensare di contare sempre soltanto sull’aiuto americano.
E in questo contesto, la mossa di Crosetto non cela nessuna mobilitazione ma ci parla di questo, di un mondo in cui la sicurezza è sempre più friabile e le armi sono la garanzia che prova a farne le veci, con tutti i rischi connessi. Nella speranza che intanto possa tornare la diplomazia, che un equilibrio pacifico possa avere la meglio e la guerra venga una volta per tutte relegata al passato.