La crociata della Chiesa contro i cristiani (di V. Magrelli)
La recensione è un genere letterario suddivisibile in almeno due categorie, a seconda che verta sulla descrizione o sul giudizio del testo da esaminare. Ma le cose si complicano via via che aumenta la densità dell’opera affrontata, indipendentemente dalla sua mole. È il caso di uno smilzo libretto a firma Simone Weil, pubblicato da Marietti nel 1996 e riproposto da Marietti 1820: I Catari e la civiltà mediterranea, seguito da Chanson de la croisade albigeoise.
Curato da Giancarlo Gaeta, con una nota di Gian Luca Potestà, il saggio contiene due scritti composti a Marsiglia durante l’occupazione nazista e il governo collaborazionista di Pétain. Completano l’edizione due lettere a Déodat Roché, studioso del catarismo cui Weil confessa la sua scarsa conoscenza della cultura d’Oc. Da qui una prima avvertenza: non stiamo leggendo l’intervento di un’esperta, bensì le formidabili “invenzioni” di una grande visionaria decisa a delineare una società idealizzata, posta dalla parte dei vinti e opposta all’orrore dei tempi moderni (oltre che, più in generale, allo scandalo di una Storia assoggettata all’uso della pura forza).
L’autrice fu infatti una delle maggiori pensatrici del secolo scorso. Abbandonato l’insegnamento nei licei, scelse il lavoro in fabbrica, per poi avvicinarsi al cristianesimo. Partecipò alla guerra civile spagnola, ed emigrò prima negli Stati Uniti quindi in Inghilterra, dove militò nella Resistenza francese a fianco delle autorità in esilio. Morì appena trentaquattrenne di tubercolosi, a causa delle privazioni cui non volle sottrarsi. Queste pagine inquiete, scritte sotto il segno di Hitler, hanno però come tema una vicenda antica: la crociata contro gli Albigesi, che la Chanson ricostruisce dal 1209 al 1219. Per stroncare l’eresia catara, che aveva come centro la città di Albi e si irradiava nel sud della Francia (ossia l’Occitania o Linguadoca, dall’idioma parlato, la “lingua d’Oc”), il papa Innocenzo III e il re di Francia lanciarono una crociata di cristiani contro cristiani, invece che contro il tradizionale nemico islamico. Per alcuni storici, il risultato fu un autentico genocidio.
Ora, nella fine violenta e prematura della civiltà d’Oc Weil scorge la morte del vero Rinascimento, quello romanico, erede delle grandi civiltà mediterranee. La sua concezione poggia cioè sulla continuità tra la violenza della Chiesa di Roma (con la «spiritualità totalitaria» propria del gotico) e l’obbrobrio della seconda guerra mondiale. «Patria del linguaggio», culla del racconto cavalleresco, la terra d’Oc viene così eletta a utopia di un cristianesimo “politico”, fondato sulla tolleranza: «L’Europa non ha mai più ritrovato allo stesso livello la libertà spirituale perduta per effetto di quella guerra». Ho provato a descrivere per sommi capi questo volumetto: aggiungo che è raro trovare tanta sapienza concentrata, e tanta disperata passione per l’umanità.
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