Criticare la politica di Israele non significa essere antisemiti: così il Pd è caduto nella trappola della destra
Le campagne elettorali non sono occasioni per dibattiti culturali e ricerca della verità. Lo dimostra il fatto che un razzista e xenofobo come Salvini (pronto a lasciar morire persone in mare perché non italiane) e un politico scaltro come Renzi (che fa affari con un paese arabo noto per calpestare i diritti umani) si ergono a giudici di antisemitismo. Fa ancora più pensare che il tam tam creato da questi politici abbia avuto l’effetto di determinare le decisioni in casa PD.
Non stiamo qui a difendere le ragioni dei due candidati Raffaele La Regina, poi ritiratosi e Rachele Scarpa con il primo che sulla sua pagina di Facebook ha paragonato lo stato ebraico di Israele agli alieni (inesistenti in entrambi i casi) e la seconda che ha criticato la politica israeliana verso i palestinesi come un “regime di apartheid”. Non è questo il punto.
Il punto è che nella reazione scatenata si manifesta una non cultura strabiliante. Che lo stato ebraico di Israele sia come un alieno potrebbe dirlo anche un ebreo critico del sionismo e invece, in Italia, sembra di capire che sionismo ed ebraismo siano identici come anche antisionismo e antisemitismo. Circa la critica della politica dello stato israeliano nei confronti dei palestinesi, molti cittadini in Israele sono convinti, come la candidata Scarpa, che la condizione giuridica e politica nella quale sono costretti i palestinesi sia non soltanto ingiusta ma anche ossigeno per Hammas (leggi fondamentalismo islamico). Sembra che da noi questa articolazione sia assente. Tra pressapochismo e ignoranza: come nell’Italia fascista si era antisemiti ora si è anti-antisemiti. In entrambi i casi la logica binaria agevola e legittima un semplicismo che ostacola la comprensione dei fenomeni e alimenta l’intolleranza.
È disarmante come la dirigenza del PD si inginocchi al pregiudizio dei suoi critici, dimostrando troppa attenzione all’audience. La dichiarata religione dei “due stati” per esempio, che il PD identifica con il sostegno a Israele, è, oggi, tutt’altro che un obiettivo ritenuto realistico e voluto in Israele (sembra che il 25% dei cittadini israeliani lo voglia, un po’ meno i palestinesi che vivono in Cisgiordania sotto la giurisdizione dell’Autorità Nazionale Palestinese) – ha le sue radici nelle vicende che hanno portato al trattato di Oslo, con i mitici eroi Rabin e Arafat; è riflesso di un ideale politico forte nelle generazioni anziane di entrambi i popoli.
E infine: identificare la critica alla politica dello stato di Israele verso i palestinesi come antisemitismo è mancare di rispetto a molti cittadini israeliani: coloro che sono arabi e coloro che sono di tradizione ebraica ma secolari, coloro che resistono, purtroppo sempre più minoranza, all’identificazione religiosa come condizione di appartenenza a quello stato. Lo stato di Israele non è solo degli ebrei e non è teocratico – questa onestà e verità la dobbiamo prima di tutto alle generazioni di ebrei che si sono battuti per creare uno stato democratico fondato sui diritti civili.
Nell’identificazione da parte dei nostri politici dello stato di Israele con l’identità religiosa ebraica c’è il segno di un non superamento dell’anti-semitismo. Lo dimostra anche quella stridente espressione contenuta nel punto 1 del programma della destra? “Difesa e promozione delle radici e identità storiche e culturali classiche e giudaico-cristiane dell’Europa”. Questo termine rivela quanto antisemitismo ci sia nella mentalità della destra: le radici “giudaico-cristiane dell’Europa” è un espediente furbesco per allontanare i dubbi di antisemitismo. Ma il trattino crea un lemma che non può non impensierire gli ebrei credenti, i quali non concepiscono la loro identità religiosa come una preparazione a quel che sarebbe venuto dopo, al cristianesimo. Il trattino indica una visione teleologica che umilia chi sta alla sua sinistra (l’ebraismo) e che riceve riconoscimento non in quanto ebreo ma in quanto preparatore della religione superiore. Se il PD invece di genuflettersi alle obiezioni interessate degli avversari analizzasse meglio le parole e le cose ne guadagneremmo tutti, prima di tutto coloro che possono sempre essere vittima di antisemitismo.