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Home » Opinioni

Tra crisi isteriche e crisi di Governo, il processo democratico che fa così paura ai 5 Stelle

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Nelle ultime settimane stiamo assistendo ad un’isteria collettiva da parte dei diversi esponenti politici del Paese per via delle dimissioni del Presidente del Consiglio Mario Draghi. Ogni cinque minuti dai profili social dei politici emergono appelli alla responsabilità e accuse ai diversi colpevoli di questa “non” crisi di governo.

La loro sembra quasi una costante paura del voto quale massima espressione democratica di un Paese, sarà per via del taglio dei parlamentari oppure per il probabile ingolfo che porterà anche nella prossima legislatura – la diciannovesima – ad un probabile Governo di larghe intese, sancendo la fine di diversi partiti, oppure perché davvero ritengono necessario che il Governo attuale prosegua la sua azione che prodotto solo rinvii al 2023 dei più importanti dossier del Paese.

La domanda da porsi è semmai un’altra e l’esprimeva molto bene un caro amico in un chat whatsapp: non possiamo sempre avere paura del processo democratico e dell’incertezza che deriva dal cambiamento (del resto l’insegnava benissimo il prof. Ernesto Paolozzi che l’incertezza è, sul piano psicologico, quello che la libertà rappresenta sul piano etico-politico), altrimenti rischiamo di somigliare più di quanto possiamo immaginare a quei regimi autocratici e perfino dittatoriali. Ancora peggio è giustificare la volontà di diluire le proprie responsabilità politiche con il dogma della responsabilità ad ogni costo, sfociando nella stabilità personale più che politica.

Credevamo che il 4 marzo 2018 – preceduto da reboanti scissioni e divisioni – avesse dato uno scossone ad un sistema politico oramai granitico eppure immediatamente dopo abbiamo vissuto un clima di conservazione e di restaurazione, tanto è vero che le fratture politico-istituzionali del passato vanno via via sanandosi senza alcuna messa in discussione del sistema partitico nel suo insieme, da intendere più come riscoperta del potere come servizio alla comunità piuttosto che come mezzo di autoconservazione.

Questa ennesima crisi di governo ci mostra due cose fondamentali: l’elitarismo di una parte politica mascherata dalla retorica dei migliori e l’estremizzazione della straordinarietà.

Per i primi governare non è solo una questione politica, bensì di titoli e di curriculum, non importa se non hai esperienza politica o se in passato ti sei dimostrato inadeguato, l’importante è avere i titoli. Ed ecco che il merito diventa un modo per escludere e rendere insanabile la frattura che esiste fra rappresentanti e rappresentati. Eppure la politica ha esempi che non sono eccezioni, che mostrano di come più che i titoli, sia necessaria una formazione politica, vediamo per esempio l’ottimo sottosegretario Amendola, oppure uomini del passato come Massimo D’Alema o anche Enrico Berlinguer, non avrebbero i titoli per essere definiti “migliori” eppure erano e sono cavalli di razza della politica. Qui emerge la spaccatura fra chi vede questa crisi più come un processo di “lesa maestà” del migliore piuttosto che come un atto legittimo atto politico di una forza di maggioranza che chiede attenzione ed è invece elevata a capro espiatorio di una maggioranza che non c’è mai stata se non nelle divisioni. In poche parole questo Governo non è migliore dei peggiori, anzi è perfettamente fermo.

Per i secondi c’è sempre un’emergenza che giustifica la straordinarietà del caso, della necessità di derogare la politica; ciò avviene per i DPCM o per la conversione con fiducia dei decreti legge esautorando il Parlamento dal naturale processo decisionale.
Tutto sfocia anche nella governabilità ad ogni costo, eppure in altri Paesi si è votato – perfino negli U.S.A – e in altri abbiamo assistito a crisi di governo affrontate senza isterie se pensiamo a ciò che sta accadendo in Gran Bretagna o anche all’ingolfo avvenuto in Germania.

La verità è che se vogliamo migliorare la qualità della nostra democrazia dovremmo iniziare a rispettarla, senza paura alcuna per il risultato delle urne, formando dirigenti capaci di affrontare le crisi di ogni tipo con la ponderazione e l’aplomb che si compete ad una classe politica dignitosa.

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