Crisi climatica e scioglimento dei ghiacciai: quale sarà il futuro dello sci?
Crisi climatica e scioglimento dei ghiacciai: quale sarà il futuro dello sci?
Negli ultimi anni il cambiamento climatico è frequentemente all’ordine del giorno. A tutti sono visibili gli effetti di questo fenomeno, tuttavia non da tutti sono accettati. Quest’estate l’Italia è stata colta di sorpresa da un tragico evento: il 3 luglio 2022, una parte residuale del ghiacciaio della Marmolada si è distaccata dal terreno travolgendo alcuni escursionisti, dei quali 7 sono rimasti feriti e 11 hanno perso la vita.
Secondo i ricercatori, una delle cause scatenanti del crollo avvenuto è l’aumento anomalo delle temperature, il quale ha impattato lo stato del ghiaccio. Dall’inizio del secolo, infatti, lo scioglimento dei ghiacciai ha raddoppiato di velocità.
Questo è stato “solamente” un episodio, simbolo tragico di un’estate che sta mettendo a dura prova l’Italia. La scarsa quantità di precipitazioni nevose nel periodo autunno/inverno e la scarsa piovosità primaverile ha fatto sì che i ghiacciai si affacciassero alla stagione calda con scarse riserve. Il risultato? Molte Regioni hanno dovuto dichiarare lo stato d’emergenza a causa della siccità, trovandosi in procinto di terminare le scorte idriche per l’agricoltura. In un simile contesto, nel quale sono terminate le risorse necessarie per la produzione di cibo (bene essenziale), dove si colloca il reparto montagna?
Quest’estate lo sci estivo ha sperimentato le conseguenze di tale surriscaldamento, e non solo in Italia, dove ha dovuto chiudere anticipatamente lo Stelvio (ultimo ad offrire servizio), bensì anche in Francia dove i ghiacciai Deux Alpes e Tignes si sono trovati costretti a sbarrare le serrande. Si potrebbe pensare “Poco male, non succede niente se per un anno i fan sfegatati si dovranno limitare allo sci invernale”. Ma siamo sicuri che questi effetti non si protrarranno anche per le future stagioni invernali?
Non si pensa a tutte le persone che lavorano nel settore collegato al turismo della montagna. Il comparto dei soli impianti funiviari rappresentati da Anef, ad esempio, occupa in modo diretto 12 mila persone e altri duemila lavoratori in attività connesse come rifugi, noleggi e scuole di sci. L’innalzamento delle temperature causato dal fenomeno del surriscaldamento globale ha reso dunque indispensabile l’ausilio dell’innevamento programmato, ovvero della produzione di neve artificiale negli impianti sciistici anche nella stagione invernale. Quest’ultimo è particolarmente dannoso, oltre ad essere oneroso in relazione al caro energia, per l’ambiente in quanto comporta conseguenze negative per la vegetazione. La neve artificiale ha un alto contenuto di acqua liquida, circa il 15-20% rispetto al 7-10% della neve naturale, di conseguenza ha un peso maggiore e una minor capacità di isolamento termico che la neve asciutta eserciterebbe tra il suolo e l’atmosfera. Questi fattori causano il congelamento del suolo impedendo il passaggio di ossigeno e provocando l’asfissia del sottostante manto vegetale, il quale è soggetto in seguito a morte e putrefazione. Nonostante ciò l’innevamento programmato si pone indispensabile per la sussistenza delle località montane, le quali si trovano a fare i conti con un’altra antagonista: l’emergente crisi idrica. L’acqua è essenziale per innevare le piste; con un m3 di acqua di possono produrre in media 2.5 m3 di neve. Per produrre l’innevamento di base (30 cm) su un ettaro di pista servono circa 1000-1200 m3 d’acqua. Riusciamo ad immaginare quanta acqua servirebbe per coprire tutte le piste (o buona parte di esse) delle Alpi? E riusciamo ad immaginare come questo si possa conciliare con una carenza sempre più marcata di acqua non solo a livello nazionale, ma anche europeo e mondiale? Senza neve artificiale addio allo sci, ovvero, a meno di una profonda riconversione delle località sciistiche, addio a una parte degli introiti di un settore turistico come quello della montagna che riguarda circa 4 milioni di appassionati degli sport invernali. Tale settore, infatti, fino al 2019 costituiva l’11% del PIL turistico nazionale, con un fatturato che superava gli 11 milioni di euro, dei quali 4,6 prodotti solamente dallo sci.
A mio parere, se non si vuole abbandonare un settore così caratteristico e proficuo per il nostro Paese, bisogna pensare a soluzioni innovative. E temo questo possa diventare imprescindibile in un contesto dove potrebbero venire imposti dei limiti all’innevamento artificiale.