Covid, camorra e fasci: il cocktail letale che uccide Napoli (di F. Pagano)
Chi fermerà i boss sintomatici, spiegandogli che non possono entrare in ospedale perché sono finiti i posti? Perché probabilmente è a questo che bisogna prepararsi, se il contagio non rallenta. I fatti di ieri notte a Napoli ci hanno scioccati, ma è uno stupore colpevole, dal momento che quanto è accaduto era ampiamente prevedibile e previsto. Io stesso, dalle pagine di TPI, durante il primo lockdown, avvisai del rischio: cosa succederà a Napoli quando le terapie intensive e le corsie saranno sature? Come reagirà quella numericamente minuscola, ma feroce e incontrollata fascia della popolazione partenopea, avvezza al sopruso e alla violenza? Se il sistema sanitario napoletano andrà in tilt, e secondo alcuni esperti potrebbero mancare pochi giorni, accadranno cose che faranno sembrare un ballo delle debuttanti quanto è accaduto ieri davanti al palazzo della Regione: perché le stesse persone che ieri accendevano la notte scatenando la guerriglia per protestare contro i provvedimenti anti-Covid dello Stato, saranno quelle che domani sfasceranno i negozi, gli arredi urbani, i pronto soccorsi e i reparti di degenza dei nosocomi della città. Lo faranno quando verranno respinti, quando gli verrà detto che non si possono curare.
Si badi però che quelli in azione non erano “i napoletani”, ma una percentuale omeopatica del popolo di una città metropolitana che conta 3.6 milioni di abitanti (un milione il solo Comune principale), e che da secoli, nel desolante silenzio e nell’inerzia delle Istituzioni, tiene in scacco l’intera popolazione. La gente qualunque credeva di essere scesa in piazza a protestare legittimamente, invocando un sostegno economico, e regole che consentano alle categorie commerciali più colpite di cercare di sopravvivere: ma accanto avevano l’anima nera della città. Quella miscela esplosiva, formata da camorra più fascisti, che è sempre pronta a ruggire e a spaccare tutto, a incendiare i cassonetti, ad esporre striscioni intimidatori verso le autorità, ad accerchiare e assalire auto della Polizia a colpi di bastone e con lanci di oggetti. A intimidire giornalisti, malmenandoli e allontanandoli. Emblematica l’immagine di Gaia Bozza, inviata di Sky che, dopo l’aggressione subita da un collega, faceva la sua corrispondenza scortata da una volante.
Scene da Paese in guerra. E un Paese in guerra sarà, se non corriamo ai ripari: “Noi in strada a Roma, da Napoli partita la rivolta”, questa la dichiarazione di Forza Nuova. Già, perché il “modello napoletano”, come profetizzava Giorgio Bocca, è pronto ad espandersi in tutta Italia. Il copione è scritto e seguirà i soliti passaggi, dalla guerriglia urbana, agli incendi, agli assalti ai supermercati e agli ospedali. In napoletano si dice “arrevotare”, cioè sovvertire, rovesciare, ribaltare. Ed è precisamente questo il senso e lo scopo di quanto è avvenuto: fomentare e alimentare un disordine prezioso per chi vive nell’illegalità. Dietro fatti del genere c’è semplicemente il Male, c’è chi nel caos sguazza e prospera, chi non solo non teme che immagini simili faranno il giro d’Italia e il giro del mondo – perché Napoli, quando esce pazza e scassa tutto, fa notizia come poche altre città – ma anzi ne gode.
Non sono venuto a difendere Napoli, si potrebbe dire, parafrasando un celeberrimo monologo teatrale. Eppure qualcuno deve ricordare che non possiamo confondere “i napoletani” con questi “guagliuni di malavita” e con i “mazzieri”, eredi dei “lazzari” di borbonica memoria e delle squadracce di un passato ben più recente. Uomini e donne capaci di bloccare l’arresto di un boss assalendo a decine le forze dell’ordine, di tenere in ostaggio la raccolta dei rifiuti come le piazze di spaccio, di lucrare sull’incapacità e l’inefficienza amministrativa di una città e una Regione allo sbando. Perché, se è vero che un pugno di persone riesce a tenere in ostaggio la terza città d’Italia, nemmeno si può tacere dell’inconsistenza mostrata dal suo primo cittadino, che ieri sera era in tv mentre il quartiere Santa Lucia bruciava: “Napoli non ha problemi di assembramenti”, stava dicendo a Rai Tre De Magistris, e manco a farlo apposta, nello stesso istante, partivano le immagini della calca indescrivibile che inneggiava a una non meglio definita “libertà”, davanti all’Istituto Orientale. E che anche da chi governa la Regione non sono arrivati che slogan col piglio da vecchio west: in sette mesi, fra un lockdown e un altro, non si è fatto assolutamente niente.
Per quali oscuri motivi, fino alle elezioni regionali, sembrava che l’aura salvifica di San Gennaro continuasse a proteggere la città dal Covid, mentre il giorno dopo, chiusi i giochi politici, iniziavano a venire fuori i problemi? Auguriamoci che lo sconcio di ieri notte faccia ancora parte dei dolorosi interrogativi che questa sventurata città pone: perché, se le domande sono finite, e queste sono le risposte, non c’è più ritorno.
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