Ma cosa ci è successo? (di G. Gambino)
Eravamo abituati ai leader attaccati alla poltrona, ma questo governo è riuscito in un altro primato: il suo capo vuole andarsene, forse unico caso di un presidente del Consiglio che vuole lasciare anzitempo Palazzo Chigi.
Direte voi: plaudiamo a un raro bagno di umiltà, contrappasso progressista di civiltà da parte di chi ha capito che la sua stagione politica è conclusa e che è ora di lasciare spazio ad altri.
Peccato però che la verità sia tutt’altra. E cioè che il nostro presidente del Consiglio Mario Draghi ha deciso di traslocare direttamente al Quirinale per ricevere l’incoronazione della più alta carica dello Stato. Per mano di chi? La sua naturalmente.
Le cose stanno così: dapprima, nel corso della conferenza stampa di fine anno, il premier ha dichiarato che la sua missione era conclusa. Poi, stufo di fare la domestica di casa per quisquilie parlamentari, ha fatto intendere che sarebbe oggi opportuno che egli stesso diventasse Presidente della Repubblica. Un’auto-investitura divina con cui Draghi pretende persino di indicare il suo erede a Palazzo Chigi («la maggioranza deve rimanere la stessa»), sul cui nome ricadranno tutti gli insuccessi che, temporaneamente impossibili da vedere sotto SuperMario, torneranno visibili sotto gli occhi di molti.
Si sa, siamo abituati ad agire nell’emergenza, e quindi tutto è ritenuto normale. Ma fermiamoci un secondo e riflettiamo: da un anno e qualche mese abbiamo sospeso ogni forma di dialogo, di scontro in nome di un solo uomo. Ci hanno detto che dovevamo stringerci – tutti, nessun escluso – intorno alla sua figura quale salvatore di ogni nostro peccato. Draghi non si discute, si ama. È il leader di tutti a tutti i livelli, dai banchieri ai lavoratori passando per i direttori di giornali. C’è che si fregia del suo nome e lo usa come lasciapassare per assolvere la propria inadeguatezza politica, chi lo usa come prova del fatto che prima eravamo in una situazione catastrofica (non vero) e che ora che c’è lui marciamo (non vero: la lista degli insuccessi del governo è a pagina 16-17). Per ogni problema la soluzione è sempre lui. Ma cosa ci è successo? C’è qualcosa che non va se l’unico uomo degno di guidare Governo, Quirinale e altro ancora è sempre lo stesso.
Da quando si è ritirato sull’Aventino imbalsamandosi sulla via del Colle i partiti finalmente si sono svegliati dal loro letargo soporifero (dai giornali ancora nulla). Giustamente alcuni, di diverso colore politico, gli hanno fatto notare che così è troppo, che gli equilibri delle nostre istituzioni sono arrugginiti e le funzioni del Parlamento risultano sospese da troppo tempo. Uno come D’Alema, a cui si potrebbero contestare parecchie cose e che certo non è un Di Battista o un Fratoianni, gli ha fatto arrivare il seguente messaggio: non mi pare adeguato per un grande Paese democratico come l’Italia che un premier rassegni le dimissioni nelle sue stesse mani (con Brunetta ad interim), si trasferisca al Quirinale e indichi un alto funzionario del Tesoro come presidente del Consiglio da egli stesso guidato dal Colle.
Se ci pensate bene il problema di fondo di tutta questa operazione non è Draghi di per sé, ma il rincoglionimento di questa “campagna culturale”. La necessità di sospendere la democrazia tout court, in tutte le sue forme e declinazioni, per affidarsi a un potere assoluto dovrebbe immediatamente far scattare una serie di contrappesi nel nostro Paese: dalla stampa, dalle istituzioni dormienti e dall’opinione pubblica. Risposte che faticano ad arrivare. E il fatto che l’opinione pubblica sia completamente estranea a quanto sta accadendo è significativo: dilaga non un odio (era il caso di Renzi), non un amore (è il caso di Mattarella) ma un’indifferenza quasi totale nei confronti di chi oggi ci governa, forse anestetizzati dalla pandemia e dalla sua recrudescenza. Ma questa non può essere una scusa. Dobbiamo abituarci a convivere con le varianti del Covid.
Ora il tecnocrate illuminato da Bruxelles (e da Washington) vuole diventare Re. Senza rendercene conto, stiamo gridando tutti insieme: abbasso la democrazia, lunga vita alla tecnocrazia.
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