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Coronavirus, che sciocchezza tenere aperte le profumerie e non le librerie: tornate indietro

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Illustrazione di Emanuele Fucecchi per TPI

Scusate, ci torno, perché è un problema sempre più grave: è davvero triste un paese in cui le profumerie sono aperte e le librerie sono chiuse. È stato un errore clamoroso, fatto nella fretta e nella concitazione, adesso va corretto, prima che sia troppo tardi. Non ho nulla contro le profumerie sia chiaro – ma molto a favore delle librerie: continuare in questa condizione è come mettere nero su bianco che in questo paese la cultura non è un servizio essenziale, mentre una profumeria sí. Il libro non serve, l’acqua di colonia è un bene di prima necessità?

E questo ovviamente non ha senso. Anche perché nel decreto c’è un’altra follia: Amazon è l’unico canale commerciale che è autorizzato a vendere libri, e fra l’altro non lo fa più (o quasi) perché li considera un mercato troppo piccolo. Mentre invece i librai, che i libri devono venderli perché è la loro missione, non possono farlo perché a loro è vietato. Assurdo.

Poi ci sono altri due temi cruciali, a partire da quello dei libri persi, perché in questo sistema i libri nuovi non escono più. A partire dai libri che dovremmo leggere su Coronavirus: gli studi, le ricerche, i pamphlet. Nella pubblicistica che non arriva ai lettori c’è di sicuro – come spesso capita – un’idea che salva una vita, l’ispirazione di qualcuno che magari troverà un vaccino. Perché tutta questa produzione i librai non lo possono vendere per corrispondenza? Perché una pizza a domicilio si e “I fratelli Karamazov” no? Con la cultura SI mangia, come è noto. Anche con il superfluo, che è il cibo più importante per alimentare i cervelli.

Tutto questo superfluo, in realtà necessario, è la democrazia. I libri che non escono sono libri che non usciranno più, o mai, e pochissimi possono uscire in digitale, sia per una motivazione industriale, sai perché molti lettori – sopratutto anziani – come è noto leggono solo in cartaceo. Questi anziani – invece – dovrebbero essere riforniti dai loro cari di libri, come di pasti e di generi alimentari.

E poi c’è la leva dell’istruzione: i ragazzi che devono studiare per la scuola, o per preparare la maturità devono poter avere accesso alle bibliografie e formarsi: devono poter trovare il libro (questo è il dono unico delle librerie) che non stanno ancora cercando. Ma che li aspetta con la sua copertina. E infine c’è il tema più grave, quello della censura: i libri che non possiamo leggere o che non leggeremo più, sono di fatto libri censurati. Le opinioni che non possono trovare più spazi nell’unico modo in cui da due millenni circolano le idee sono opinioni censurate.

I nazisti i libri li bruciavano. Noi li teniamo reclusi, ma la sostanza non cambia: distruggere gli editori e le librerie significa distruggere i libri, forse in un modo meno eclatante ma altrettanto grave.
L’universo distopico di Fahrenheit 451 si realizza per un codicillo burocratico. Senza dibattito, per distratta e scialba pigrizia. Ecco una follia su cui bisognerebbe scrivere un libro.

• Riapriamo le librerie: la lettura è il cibo dell’anima (di Luca Telese)
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