La più grande lezione del Coronavirus? Farci riscoprire le nostre città
Coronavirus, come abbiamo riscoperto le nostre città nella quarantena
L’acqua di Fontana di Trevi ha continuato a sgorgare sotto lo sguardo vigile della statua di Oceano. Di fronte, la solita auto della municipale e qualche passante, ma nessun turista, nessuna folla: uno spettacolo che, in tempi normali, avremmo potuto vedere solo all’alba. Anche la statua di Leonardo da Vinci è al suo posto: ormai quasi nascosta dalla strada sopraelevata e dagli edifici che anno dopo anno si aggiungono all’aeroporto di Fiumicino, non assiste al solito convulso via vai di auto che caricano e scaricano di fronte ai terminal viaggiatori e turisti. Sotto le scritte “arrivi” e “partenze” si vede solo qualche persona, magari riuscita a tornare in patria dopo essere rimasta bloccata chissà dove.
Regna l’ordine alla Coop di Colli Aniene: è stranamente silenzioso il vicino Viale Palmiro Togliatti, normalmente popolato da auto che sfrecciano tra i quartieri della cintura est della Capitale. E’ invece ordinata e segue una disciplina di stampo prussiano la fila di persone munite di mascherina e distanti un metro l’una dall’altra in attesa di entrare e fare la spesa. A Roma come in qualsiasi altro luogo d’Italia, da quando abbiamo scoperto che nonostante il progresso scientifico e tecnologico una pandemia come il Coronavirus ci può costringere in casa, le nostre città hanno cambiato faccia, così come le nostre abitudini. Abbiamo sperimentato più fasi di questa situazione, è vero, ma abbiamo scoperto una nuova dimensione di vita.
I nostri quartieri, quali essi siano, si sono svuotati dei turisti e dei lavoratori. Al supermercato c’è stato sempre meno spazio per le insalate da pausa pranzo o per i tramezzini, mentre si sono fatte spazio con prepotenza le confezioni famiglia. Sparivano le giacche, le cravatte e i tailleur e prendevano piede le più comode tute, e iniziavamo a dare un volto a chi, delle migliaia di persone che vediamo in giro ogni giorno, sono i nostri vicini, gli abitanti dei nostri quartieri. Quasi divenuti turisti nella nostra stessa terra, come dei viaggiatori abbiamo ri-scoperto tutto questo.
Oggi, che finalmente possiamo girare di nuovo per le nostre città, andare al ristorante, a messa o a prendere un caffè, scopriamo sensazioni che ci fanno immaginare quella che era la città, Roma nello specifico, qualche decennio fa. Torniamo a sentire il rumore dell’acqua delle fontane, incontriamo di nuovo i gatti, un tempo padroni indiscussi della città, torniamo a sentire il vociare dei bambini. Sparisce invece il rumore dei trolley, niente turisti né pellegrini, si riinizia a dare un volto a chi, nel mare magnum di Roma, sono i suoi veri abitanti.
Questo clima surreale che si è venuto a creare ci ha permesso di contemplare le città con occhi diversi, di ri-scoprire angoli, scorci, magari visti di sfuggita centinaia di volte ma di cui mai c’eravamo accorti. Abbiamo atteso con ansia la riapertura del barbiere e del ristorante, ma abbiamo riscoperto l’alimentari che neanche sapevamo esistesse. Abbiamo cambiato punto di vista. Tornerà il lavoro, torneranno i turisti, in una nuova normalità da scoprire, e ci daremo da fare perché tutti possano stare meglio di prima. Ma non perdiamo la dimensione umana e non smettiamo di scoprire ogni giorno le nostre città.
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