In Italia continua indisturbata la produzione di F35: operai rischiano di morire per degli aerei da guerra
Ai tempi del Coronavirus, in Italia continua indisturbata la produzione di F35
Scusate se vi interrompo mentre discutete delle passeggiate di anziani e bambini intorno al cortile di casa, sugli assembramenti popolosi e propagandistici del presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana mentre inaugura un ospedale che (per ora) ha 400 posti in meno del previsto e se esco per un secondo dalla retorica della video-lezione che dovrebbe farci sentire tutti felici a casa anche se c’è gente che vive con tre figli in un buco di 50 metri quadrati ma il 30 marzo, ovvero due giorni fa, nel silenzio generale nello stabilimento di Cameri è ripartita la produzione (con operai, impiegati e rischi annessi) dei favolosi caccia F35, sì, proprio loro, i famosi aerei che costano un ossesso e che tutti i governi fingono di non volere e intanto continuano a costruire.
Si diceva appunto dei beni di prima necessità: benissimo, per il governo italiano bisogna dare fiato alle bombe anche in tempi di Coronavirus. Lo scrivono nero su bianco le associazioni “Sbilianciamoci!”, “Rete Disarmo” e “Rete della Pace” in un comunicato che lascia pochi dubbi: “Nonostante le richieste di questi ultimi giorni delle nostre campagne e reti, da associazioni e organizzazioni della società civile il gruppo Leonardo ha deciso – sfruttando il consenso preventivo e “in bianco” ottenuto dal governo – di riaprire lo stabilimento di assemblaggio e certificazione finale in provincia di Novara, con circa 200 operai presenti. È inaccettabile che – rischiando di far ammalare centinaia di lavoratori – sia stata presa la decisione di continuare le attività industriali relative a un cacciabombardiere d’attacco che può trasportare ordigni nucleari: non è certamente una produzione essenziale e strategica per il nostro Paese, in particolare in questo momento di crisi sanitaria”.
Interrogata sull’argomento Leonardo ha spiegato che il blocco della produzione pregiudicherebbe le commesse in corso e la consegna dei clienti. Come abbiamo fatto a non pensarci prima: effettivamente tutti gli altri commercianti (e cittadini) italiani evidentemente non avevano nulla da perdere nel chiudersi in casa per assistere a un Paese che continua a permettere il lavoro ai forti e che imbriglia sulle passeggiate i più deboli. Poi, mi raccomando, continuiamo pure a discutere dell’ampiezza del giro del cane del vicino. Avanti così.
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