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Coronavirus, l’Italia che combatte contro l’Italia che se ne sbatte

Immagine di copertina

Da una parte medici, infermieri e tecnici con turni no stop e rischio altissimo, che stanno lottando senza sosta per fermare l'epidemia. Dall'altra, troppe persone oscillano tra il panico incontrollato e il menefreghismo più avvilente. Le due Italie ai tempi del Coronavirus

Questo scenario apocalittico causato dall’epidemia del Coronavirus, fatto di carceri messe a ferro e fuoco, una borsa che cade a picco a -10 per cento e scaffali dei supermercati depredati fino all’ultimo pacco di penne lisce, ha messo in luce due Italie: una che combatte e una che, letteralmente, se ne sbatte. Una parte del paese che sta lottando senza sosta per sconfiggere il Covid-19 e l’altra che non ha ancora afferrato la gravità della situazione (Qui tutti gli aggiornamenti sul Coronavirus in Italia).

L’Italia che combatte

Tra chi combatte ci sono gli eroi silenziosi: medici, infermieri, Oss e tecnici con turni no stop e rischio altissimo sulle spalle. Alcuni di loro stanno perdendo il sonno. Oggi, la foto della dottoressa di Cremona che alle 6 di mattina, dopo un turno infinito, si addormenta per qualche secondo appoggiandosi alla scrivania sta facendo il giro del mondo. Lei e migliaia di altri medici stanno lavorando per gestire questa bomba infetta con un sistema sanitario nazionale che in realtà era già in emergenza, molto prima che iniziasse l’emergenza Coronavirus.

Combattono gli imprenditori, che stanno vedendo sgretolarsi sotto gli occhi i frutti di una vita, e combattono anche le decine di migliaia di lavoratori che stanno per perdere il posto, se l’economia del paese non riuscirà a ripartire. Lotta il personale penitenziario, che sta cercando di sedare le rivolte esplose nelle carceri di Roma, Milano, Modena, Frosinone, Poggioreale, ma anche di Alessandria, Foggia, Vercelli, perché a causa del Coronavirus sono state sospese ai detenuti le visite dei famigliari.

Addirittura, da domenica sera, anche gli intellettuali, i cantanti e gli attori hanno compreso che non si scherza più e hanno lanciato un appello con l’hashtag #iorestoacasa. E sentirsi dire di non uscire anche dalla Ferragni fa un certo effetto. Magari su qualcuno ha più presa rispetto a un virologo illuminato, chi lo sa.

L’Italia che se ne sbatte

Mentre insomma una parte della popolazione sta dando tutta se stessa per contenere il contagio, c’è l’altra Italia con troppe persone che oscillano tra il panico incontrollato e il menefreghismo più avvilente. Fuori dalle carceri, dalle aziende, dagli ospedali, milioni di italiani si ammassano senza alcuna remora.

C’è chi è fuggito dalla zona rossa per andare a sciare, bellamente. Come se con il coronavirus ci si potesse fare il pupazzo di neve. C’è chi ha partecipato a eventi e assembramenti di persone, nonostante i divieti, come l’assurdo bagno di folla per Elettra Lamborghini a Montesilvano, in Abbruzzo. Ma, ancora più grave, ci sono due cose che veramente sottolineano un’indifferenza totale. La movida che prosegue nella Capitale e gli studenti tornati in treno dal Nord al Sud Italia non appena è stato annunciato l’allargamento della zona rossa sabato 7 marzo. Un esercito di incoscienti che si è ammassato nei locali e nelle stazioni.

“La vita deve continuare come prima”, “È una psicosi eccessiva”, oppure ancora “Così aiutiamo l’economia”. La vita non va avanti come prima, perché questa è una situazione mai vista nella storia. Bisogna fermarsi, riflettere ed essere responsabili. Certo, non è facile essere in una città da soli a fronteggiare la paura, la preoccupazione lontani dalla famiglia, dagli amici di sempre cercando di non farsi sopraffare dal cambiamento. Ma basterebbe seguire i consigli delle Istituzioni e dei medici, che al momento dicono: scuole chiuse e lavoro da casa per fermare i contagi da Caronavirus. Il nuovo DPCM del governo per l’emergenza è abbastanza chiaro e tranchant sulle restrizioni da rispettare. Ma anche se abbiamo imparato a lavarci le mani circa 40 volte al giorno e anche se i nostri discorsi sono monopolizzati dall’Amuchina, ancora non riusciamo a rinunciare ad accalcarci nei pub.

 

Perché è cambiata la retorica?

Questo menefreghismo diffuso è frutto, anche, dell’ottovolante informativo sul Coronavirus. Due settimane fa, quando è scoppiato il caso a Codogno, era “poco più di un’influenza“. #MilanoNonSiFerma, twittava il sindaco Beppe Sala. E l’opinione pubblica era proiettata solo sull’idea di non farsi prendere dal panico, non restare a casa per la paura, tanto da stigmatizzare anche i media gridando all’allarmismo, quando invece i giornali stavano semplicemente facendo il loro lavoro: informare. Ora Milano si è fermata eccome. E si paralizzeranno anche altre città, fino ad arrivare a Roma e al Sud Italia. Il contagio corre veloce, e non ha intenzione di rallentare, al momento.

Restiamo a casa

Mi ha molto colpito il grafico messo a punto dal professore di Fisica Teorica alla Sapienza Federico Ricci-Tersenghi che ha confrontato l’andamento del numero di decessi per Coronavirus in Italia e nella provincia di Hubei, dove si trova Wuhan. La situazione attuale del nostro paese è simile a quella dell’ultima settimana di gennaio in Cina e in questa tabella si vede ad Wuhan i morti hanno cominciato a diminuire solo quando sono state messe in campo misure restrittive, ovvero una quarantena severissima. Questo significa che ci troviamo ad un bivio: in parole povere, o stiamo a casa o i contagi aumenteranno esponenzialmente.

E se siete inguaribili egoisti, pensate ai vostri nonni, ai vostri genitori. Se i contagi continuano a galoppare a questo ritmi, i posti nelle terapie intensive degli ospedali non basteranno più tra pochissimo: in tutta Italia sono 5mila i posti in unità di terapia intensiva, di cui 1.800 tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. E questi reparti servono per sostenere pazienti che hanno difficoltà respiratorie, sono stati coinvolti in gravi incidenti, o si trovano in condizioni critiche a seguito di operazioni chirurgiche o gravi patologie. Oggi, sulle pagine di TPI, Elisa Serafini ha spiegato chiaramente che la nostra sanità pubblica sta collassando e i medici hanno già detto quella frase troppo difficile da mandare giù, che ci fa sentire immediatamente in una situazione simile a una guerra: “Siamo obbligati a scegliere chi curare e chi no”.

Ci sono in Italia, per ora, 463 morti. Davanti a queste 463 famiglie che stanno soffrendo forse potremmo smettere di fare aperitivi. Il Coronavirus non è un complotto contro le nostre vite. Non è un attentato alla libertà. È una malattia. La gente muore per questo nemico invisibile che si potrà fermare solo se non lo facciamo espandere ancora. Restiamo a casa, almeno per un po’.

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