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In Italia non ci stiamo capendo più nulla: diteci la verità, dateci una risposta chiara, non 10 versioni diverse

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Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Coronavirus, Italia in confusione sulla riapertura: diteci la verità

Circola una battuta bella e malinconica in rete: “Siamo stati i primi ad essere colpiti dal virus, ma saremo anche gli ultimi ad uscirne”. Non ci stanno capendo più nulla, infatti, e così tengono chiuso anche senza motivo. La politica, che ci sta capendo ancora meno, si fida nella gara della stupidità sfavillante tra chi vuole chiudere molto e chi vuole chiudere moltissimo. In un paese civile la dialettica destra-sinistra al tempo della crisi produrrebbe almeno due soluzioni diverse, una competizione virtuosa. In Italia, la sfida tra quello che resta di due classi dirigenti ai minimi termini, produce il derby del doppio chiavistello.

Prendete per esempio la Sardegna: nella notte la giunta di centrodestra, con un’ordinanza, contraddice e abroga la famosa decisione del governo che riapriva librerie, cartolerie e negozi di vestiti per bambini. In Lombardia, gli stessi che hanno avuto la bella pensata di mandare gli ex contagiati nelle case di riposo per anziani (chissà chi è il genio che ha pensato questo provvedimento) cercano di recuperare consensi chiudendo le librerie (ma non i negozi per bambini). Mentre in tutta Europa si riapre, con intelligenza, in Italia va in onda il derby dei cavernicoli tra chi chiude molto e chi chiude tutto. Il duello tra i non cogitanti che sperano di raccattare voti giocando ad acchiappare il virus a a mosca cieca, inseguendolo bendati.

 

 

La Spagna allenta le misure di contenimento e molte attività riaprono. Perché questo accada, però, le autorità civili distribuiscono mascherine gratis all’ingresso della metropolitana. Da noi le mascherine non ci sono, quindi si resta chiusi. Da noi le mascherine te le compri da te, ovviamente a prezzo maggiorato. La Francia, dopo un lungo discorso di Emmanuel Macron, prolunga il lockdown fino all’11 maggio, ma l’Eliseo decide che in quella data riapriranno anche le scuole, mentre da noi ovviamente noi. Da noi le scuole restano chiuse fino settembre, con una generazione di ragazzi condannata a perdere treni, esami, diplomi, e a macerarsi a casa nell’inedia delle maratone di videogiochi. In Germania, le industrie non hanno mai smesso di lavorare, ovviamente con le protezioni, i tamponi si fanno in mezzo alle strade, i guariti superano i malati, se ti tamponano e sei positivo ti isolano. E la Germania, anche per i suoi posti letto di terapia intensiva, più alti che in tutto il resto d’Europa, guardacaso è anche il paese con il più basso tasso di mortalità.

Il problema – lo ripeto per la centesima volta – è il fatto che la chiusura abbia avuto un senso all’inizio, quando non c’erano alternative. All’epoca non avevamo soldi, preparazione, protezioni, e quell’arma “povera” e non selettiva (la chiusura totale) era l’unico modo per prendere tempo. Adesso che le alternative andrebbe costruite, magari sul modello virtuoso di Luca Zaia (tamponi e riaperture mirate) va in onda invece questo squallido duello medievale tra chiudituttisti integralisti e semi-integralisti. L’ideologia del “iorestoacasa”, invece, per quello che era – una mossa disperata – è stata tramutata in una presunta scelta etica: come se fossimo buoni e pii se restiamo chiusi a casa mentre il virus non viene fermato.

Inutile dire, dunque, che in una pandemia ciò che è andato bene all’inizio non necessariamente funziona anche dopo, anzi. Ed infatti, dopo giorni di chiusura totale (e con pochissime trasgressioni) la curva dei contagi non solo non si abbassa, ma nella martoriata Lombardia, in certi giorni – come ieri -, addirittura risale. È ovvio, ed è facilmente comprensibile.

Come ha ammesso (a denti stretti) persino l’epidemiologo Rezza, nella famigerata conferenze stampa delle 18.00, “anche in regime di chiusura proseguono i contagi famigliari”. Perché se tu recludi un presunto cittadino sano con la sua famiglia, senza poter determinare se sia infetto, il risultato è che contagi, in isolamento, anche i suoi familiari, o chi gli è vicino. In tutto il mondo, dunque, aspettando il vaccino, si convive con il virus e si riprende a vivere. Nel paese più indebitato del mondo, invece, si preferisce bruciare 100 miliardi di Pil al mese senza risolvere il problema. Si preferisce ignorare il crollo di interi settori, a partire da quello turistico, della ristorazione, il dramma delle partite Iva, e di chi perde i treni: ad esempio il mondo della moda, che se non riparte immediatamente brucerà una intera stagione.

 

Ma tanto che ci importa? Abbiamo gli scienziati ispirati che suggeriscono, il capo della Protezione Civile che smentisce i suoi numeri, gli amici in diretta Facebook, i comitati e i sottocomitati, i governatori con la clava che fanno a gara per mettere il loro nome sulle ordinanze reclusive. Il nostro è un paese recluso senza motivo, che però non reagisce alla privazione della libertà con lo scatto di reni di chi ha il diritto di pretendere. Abbiamo i sussidi che non arrivano, le imprese che falliscono, non distribuiamo mascherine a nessuno, non facciamo tamponi, non facciamo test, non attiviamo le app sulla tracciatura, però tutti questi errori vengono nascosti, colpevolmente, dietro la (non) strategia medievale dei lucchetti al buio.

Anche gli scienziati in questa vicenda non sono esenti da colpe. E non perché hanno idee diverse tra di loro, come è inevitabile. Ma perché hanno detto cose diverse e non coerenti fra loro. Non solo nell’emergenza, come era comprensibile, ma anche oggi. Le mascherine sono utili o inutili? Se hai cambiato idea devi spiegare perché. I tamponi non si fanno perché non servono, o si diceva che non servissero perché non c’erano i reagenti? Gli epidemiologi – certo non tutti – hanno condiviso le scelte delle autorità, o come sembra le hanno suggerite? Molti punti oscuri, in questa vicenda dei contagi, sono rappresentati dal modo in cui certezze apparentemente granitiche si sono disciolte come neve al sole. Nulla di male se questa verità viene ammessa, e spiegata: molto male se questa verità viene negata perché non si sa come spiegarla.

Ora, forse, nel rispetto di tutti, dovremmo chiederci che cosa non ha funzionato e cosa ancora non funziona in Italia, e perché. Domandarci come mai, in Veneto, Zaia può riaprire dopo aver fatto i tamponi, ma nessuno lo segue (a partire dai suoi colleghi leghisti ottenebrati). E lì si torna: il nostro paese è stato il primo occidentale ad essere colpito da questo maledetto virus, ma è l’ultimo che ne esce. Perché nessuno si pone seriamente questa domanda? Come è possibile? Quali sono gli errori che non vanno ripetuti? E perché continuano a mancare i dispositivi di sicurezza, perché non si fanno i tamponi, perché non si avviano i test sierologici di ogni tipo? Va bene, all’inizio siamo stati colti completamente impreparati, un’onda violenta ci ha travolti, ma ora, a distanza di tutto questo tempo, i signori della paura devono dare risposte ad un paese che presto dovrà scegliere se ribellarsi alle strategie suicide o rassegnarsi a morire.

Leggi anche: 1. Troppa gente in giro? Almeno non venite a dirci che è colpa nostra (di G. Cavalli) / 2. Altro che patrimoniale: la crisi non si combatte con nuove tasse, ma riformando davvero il Paese (di E. Serafini)

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