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Grazie Corbyn: con la tua campagna elettorale hai rimesso al centro dopo decenni poveri ed emarginati

Immagine di copertina
Immagini di un video della campagna elettorale di Corbyn

Dicevano che Jeremy Corbyn fosse indietro di dodici punti nei sondaggi. Questo dicevano i numeri. Partita chiusa. E poi è arrivata la notizia che il Brexit party di Nigel Farage – alle europee era il primo partito – annunciava la sua curiosa politica di “desistenza”: non presentarsi nei seggi in cui i conservatori sono in testa (in pratica, con una legge elettorale maggioritaria, è come fare da ruota di scorta a Boris Johnson).

Partita chiusa. Poi sono arrivate le grandi campagne diffamatorie dei media britannici (soprattutto quelli vicini ai conservatori) contro il leader e candidato primo ministro: “Corbyn è antisemita”, e “Corbyn è comunista”, “Corbyn è vecchio”.

Titoli ovunque, fama di appestato, senso comune che diventa intenzione elettorale, e dunque: partita chiusa. Sembrava quindi che i tories si avviassero a raccogliere – il 12 dicembre – la più facile vittoria della loro storia politica, ma qualcosa si è inceppato. Oppure qualcosa ha iniziato a funzionare nella campagna elettorale neoclassica di Corbyn.

La prima arma, nel tempo del digitale è stata una antichissima risorsa: il porta a porta. Migliaia di volontari, storicamente estinti fin dai tempi del Labour blairaiano (la maggior parte giovanissimi, trentenni e ventenni), incuranti degli attacchi al loro leader, si sono sentiti mobilitati dal richiamo del New Labour corbyniano.

Hanno iniziato a battere le periferie, le campagne, contrastando con la fisicità e il loro entusiasmo il tormentone sul “vecchio comunista antisemita” addirittura (perché c’è stato anche questo) “minato dall’Alzheimer”.

Poi ha iniziato a pagare l’impostazione di fondo della campagna del Labour nella sua parte più innovativa. Decine e decine di micro-video live in cui il Labour ha dato la parola ai suoi “testimoni sociali”.

In uno ci sono gli operatori del NHS, il sistema sanitario pubblico britannico, costituito durante i primi governi laburisti e minato dai tagli dei conservatori. In un altro parla il giovane lavoratore precario. In un altro ancora la madre di un ragazzo disabile.

Primi piani narranti, storie vere di marginalità e di nuova povertà, colonne sonore scarne e quasi einaudiane, con note di pianoforte e crescendo. Ma anche il racconto del ricco professionista, ripreso nella su meravigliosa villa di avanguardia, che spiega come mai sia favorevole alle tasse sui super ricchi come lui. Il ricco redento, nel segno di Corbyn, come un convertito evangelico.

Ogni video si chiude con i due slogan “It’s time to real change”, e poi con l’altro “chiodo” di un intero nuovo corso: “For the many, not for the few”. Questo è il cardine sintetico del corbynisno: “per i molti e non per i pochi”.

Tutti i video sono legati da una forte unità stilistica, da un unico format: come se fossero gli ideali servizi di un unico programma televisivo, e come se questo programma avesse come logo la rosa rossa e le insegne del Labour.

Ovunque, in questa comunicazione orientata, domina il colore rosso. E ad un certo punto anche Corbyn è entrato dentro questo codice “real & live”, con tante pillole dei suoi comizi nei paesi e nelle periferie più sperdute della Gran Bretagna.

Fra le villette a schiera dei minatori, in mezzo ad un parco, sotto la pioggia in una piazzetta, con una militante che lo protegge con un ombrello (immancabilmente rosso e griffato New Labour pure quello).

Video apparentemente girati dal vivo, ma a ben vedere successivamente postprodotti e montati con dei piani di ascolto “posati”, dove mentre scorre la pista con l’audio originale della voce di Corbyn si vedono le immagini del leader laburista che sta in mezzo alla folla del comizio, li abbraccia, scatta foto con loro.

Una sorta di “video selfie campaign”, dove chi ascolta diventa testimonial del nuovo partito. E in tutti questi primi piani c’è una scelta di campo: giovani, bambini, vecchi e nuovi poveri, figli del popolo. Ci sono tutti, ma non la classe media.

Poi sono arrivati i pilastri: il video in cui Jeremy agita un libretto rosso (“Abbiamo offerto al paese un nuovo Manifesto!”, detto all’italiana), o quello in cui appare molto giovane, nel 1991, con il pizzo e la barba ancora marroni, di fronte ad una piazza di Londra piena di migliaia di manifestanti mentre parla contro la (prima) guerra del golfo.

Poi è arrivato un altro video, molto ironico, in cui Corbyn sembra papà Natale, se ne sta seduto nella poltrona e legge messaggi social a lui ostili, chiosandoli con sarcarmo e freddure di undestatement.

Alla fine, dopo tanti batti e ribatti quasi autoreferenzialo sulla “tua” campagna, sul “tuo” manifesto, sui “tuoi” chiodi, è arrivato anche il soccorso della cronaca, il cortocircuito che accende tutto.

In tre giorni i media britannici pubblicano due foto che fanno scandalo: quella di un bambino affidato all’NHS – il famoso servizio sanitario pubblico – che dorme abbandonato in una barella. E poi quella di un neonato appoggiato, in un altro ospedale pubblico, addirittura dentro la seduta di una poltrona. Sembrava lo sviluppo ideale del format neolaburista. Che infatti si impadronisce subito del caso, trasformandolo in video-narrazione in pillole.

Poi, proprio su questo tema, arriva la prima video-gaffe del vecchio volpe Boris. Che intervistato da un giornalista britannico appare improvvisamente lontanissimo dall’immagine di guascone vincente che i media gli avevano già cucito addosso: Johnson balbetta frasi di circostanza e poi – boom – si rifiuta per due volte non solo di commentare la foto del bambino, ma addirittura di guardarla sul telefonino del giornalista. Alla fine recupera, in coda, molto imbarazzato.

Ovviamente il video di Johnson con la gaffe sull’NHS viene riverberato all’infinito dalla “Labour tv”, così come quello della giovane madre di uno dei due bambini che dice, intervistata dai giornalisti: “Io non credo alle sue promesse”.

E così l’NHS diventa l’ultimo terreno di scontro della campagna elettorale, semplicemente perché la cronaca dei media alla fine è andata lì dove testardamente il Labour era partito, con il suo manifesto.

Ed ecco il nodo di tutto, il tema che sarà messo alla prova dalle urne del 12 dicembre: se Corbyn viene dipinto “comunista” è perché gli ultimi chiodi del suo piano economico e del suo “manifesto” sono gli investimenti e le nazionalizzazioni annunciati per rilanciare i servizi pubblici: non solo la sanità, ma anche i disastrati trasporti.

Il Labour corbyniano getta tutto il suo peso comunicativo e politico sulle parole chiave dell’”uguaglianza” e della “redistribuzione”. Indica come principale nemico “l’ingiustizia sociale”. Descrive come principale voce di spesa dei prossimi anni la “green revolution” e gli investimenti nell’economia verde e decarbonizzata.

L’ultimo colpo di classe è il video riassuntivo della campagna, “You’re not alone!” In cui una bellissima cantata di tono lirico accompagna questa galleria di immagini: industrie abbandonate, corsie d’ospedali, pioggia, megafoni, manifestazioni per l’ambiente, periferie, treni.

Ecco il video:

 

 

I sondaggi dell’ultima ora danno i conservatori fermi al 42 per cento, il Brexit party apparentemente distrutto dalla su scelta di desistenza con i Tories (viene indicato al 4 per cento), i Liberal-democratici in calo all’11 per cento (sono da sempre la terza forza, ma pagano il loro governo con i Tories) e i laburisti al 36 per cento (in recupero del  per cento rispetto all’ultima rilevazione).

La Gran Bretagna – questa per ora è l’unica cosa certa – tornerebbe ad un sistema nettamente bipolare: o di qua o di là, il resto sono frattaglie. Basterà questa tendenza a ripetere il miracolo delle scorse politiche quando Corbyn era dato per cadavere, e invece inferse nelle urne il colpo mortale che ha logorato la leadership di Teresa May? È presto per dirlo.

Quello che colpisce è la radicalità del confronto destra-sinistra, i simboli dominanti di questa campagna. E in primo luogo l’assoluta scomparsa di ogni tinta intermedia nel grande racconto della sfida: privilegiati contro svantaggiati, privato contro pubblico, ricchi contro poveri, come se fosse una campagna elettorale italiana degli anni cinquanta.

Al punto che persino il tema della Brexit – cuore del dibattito degli ultimi anni – ha perso il centro della scena. Solo le urne diranno se il “pazzo”, “demente”, “comunista”, “trotzkista”, “antisemita”, può diventare ancora un Forrest Gump tardivo e vincente.

Solo il risultato finale ci dirà se il “newlaburismo corbyniano” sarà spazzato via dal palcoscenico della storia, o se il candidato primo ministro ha avuto ragione a radicalizzare la sua campagna, contro tutto e tutti, a partire dai sondaggisti.

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