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Survival International: “Alla Cop16 in Colombia non possiamo permettere che il fallimento delle compensazioni di CO2 si ripeta anche con la biodiversità”

Immagine di copertina
Proteste Masai in Tanzania. © Masai community / Per gentile concessione di Survival International, il movimento mondiale per i popoli indigeni
Di Fiore Longo, responsabile della campagna di Survival per decolonizzare la conservazione, e Frédéric Hache, direttore di Green Finance Observatory. © Survival International

Immagina che ti venga proposta una soluzione molto semplice per salvare gli orsi polari, le api e le foreste. E che ti spieghino che questa soluzione ha bisogno solo di un po’ di soldi e di fissare un prezzo su ciò che distruggiamo. Ebbene, questa è la formula magica che la COP16 cercherà di realizzare a Cali, in Colombia: i crediti di biodiversità. In questi giorni, i governi francese e britannico, l’ONU, il World Economic Forum e la società di consulenza McKinsey presenteranno le loro proposte per creare un mercato sulla natura. Ma possiamo davvero risolvere la crisi della biodiversità in questo modo?

“Un mercato per risanare il nostro pianeta”
L’idea dei crediti di biodiversità ha iniziato a prendere concretamente forma in Europa ancor  prima di imporsi nel dibattito globale della COP16 in Colombia. La Presidente della  Commissione europea Ursula von der Leyen ha reso nota la sua intenzione di “creare un  mercato per risanare il nostro pianeta” il 13 settembre scorso. Sebbene questa dichiarazione  sia passata relativamente inosservata, è di fondamentale importanza. Di cosa si tratta esattamente? 

Von der Leyen propone di creare un mercato finanziario che rilasci permessi per distruggere la natura, vale a dire mercati tramite cui, invece di ridurre l’entità dei loro danni, le aziende  che distruggono l’ambiente potrebbero teoricamente “compensare” il loro impatto acquistando crediti legati a progetti di ripristino in altre parti del mondo.  

Come replicare il fallimento delle compensazioni delle emissioni di carbonio
La letteratura scientifica ha già dimostrato che la compensazione della perdita di biodiversità è, nella maggior parte dei casi, un fallimento ambientale e che questi mercati finiscono  sistematicamente per sostituirsi a normative ambientali più severe, che impongono una  riduzione della distruzione della natura nei paesi del Nord globale. Perché è di questo che si  tratta: guadagnare tempo e proteggere i profitti delle aziende europee per qualche anno in  più, e poco importa della sesta estinzione di massa delle specie.  

Questo approccio si allinea perfettamente all’obiettivo di Von der Leyen: deregolamentare  per agevolare le imprese. Ed è la ragione per cui questa iniziativa continua a trovare  sostegno politico in un contesto in cui le politiche ecologiche tendono ad arretrare. 

Sappiamo già che questo mercato sarà un fallimento ambientale e umano, proprio come lo  sono state prima di esso le compensazioni delle emissioni di carbonio.  

Niente più reddito agricolo
Von Der Leyen ha anche spiegato che questo mercato compenserebbe gli agricoltori per i  loro sforzi nel preservare il suolo, l’acqua e l’aria. Tuttavia, l’esempio del Regno Unito dimostra che il reddito aggiuntivo derivante dalla vendita di questi crediti va di pari passo con  una riduzione delle sovvenzioni agricole. Anche la Confédération Paysanne e ViaCampesina hanno pubblicato comunicati stampa in cui rifiutano questi mercati. 

Più furti di terra e violazioni dei diritti umani
L’idea di creare crediti e mercati per proteggere la biodiversità non è venuta a Von der  Leyen. Esiste da anni. Ciò che è cambiato è che oggi è fortemente sostenuta dai governi  occidentali (soprattutto dalla Francia) e dall’industria della conservazione, che sta cercando  nuovi fondi per espandere le Aree Protette esistenti o crearne di nuove. Queste aree, anche  se controverse, potrebbero poi emettere crediti di biodiversità. Diverse indagini indipendenti hanno dimostrato che queste aree, gestite da grandi ONG come WWF, African Parks,  Wildlife Conservation Society ecc, sono in realtà zone di guerra per i popoli indigeni, in  particolare in Africa e in Asia: con la scusa di mantenere quei luoghi “selvaggi”, i popoli  indigeni vengono sfrattati, abusati, violentati e torturati quando cercano di accedere alle loro  terre ancestrali. Nel frattempo, in quelle stesse terre vengono autorizzate attività lucrative  come il turismo di massa, la caccia ai trofei e, ora, anche progetti di compensazione di  carbonio e di biodiversità.  

Non c’è dubbio che i crediti di biodiversità siano un concetto molto controverso. L’idea di  fissare un prezzo per la conservazione di intere specie o ecosistemi, e di poterli scambiare con la distruzione di altre specie o ecosistemi altrove, pone grandi problemi tecnici, morali,  filosofici e pratici. Ma poi c’è la questione della giustizia: chi verrà sacrificato per permettere  alle nostre multinazionali di fingere di “proteggere la natura” mentre continuano a  distruggere il nostro pianeta? I popoli indigeni rischiano di essere esposti a ulteriori furti di  terra o ad accordi iniqui: con il pretesto di “proteggere” le loro terre, spesso ricche di  biodiversità, rischiano di essere sfrattati per far spazio a progetti di compensazione di biodiversità che mirano a trarre profitto dalle loro terre. Questo meccanismo si è già  verificato in modo molto simile più e più volte con gli schemi di compensazione delle  emissioni di carbonio. Molti rappresentanti indigeni hanno denunciato la mercificazione della  natura che si cela dietro i biocrediti e gli scambi di mercato, incompatibili con la loro visione  del mondo e i loro stili di vita.  

Cosa fare?
Mentre più di 250 organizzazioni ambientaliste e per i diritti umani di tutto il mondo chiedono  l’immediata sospensione dello sviluppo degli schemi di mercificazione della natura, la COP16 vedrà il lancio di una serie di iniziative volte proprio a creare crediti di biodiversità.  Un gruppo consultivo internazionale, istituito dai governi francese e britannico nel 2023,  presenterà i suoi risultati e definirà una tabella di marcia per lo sviluppo di mercati globali del  biocredito.

Ma nulla è stato ancora deciso. Non è troppo tardi per fermare questa falsa soluzione, che  consentirebbe ad aziende e governi inquinanti di continuare a distruggere la biodiversità,  arricchendo ulteriormente il settore finanziario. Sta a noi. Possiamo cedere all’ingannevole  semplicità del solito discorso neoliberista, oppure mobilitarci per soluzioni più complesse che  però affrontano davvero il problema alla sua radice: un modello economico basato sulla  crescita infinita che avvantaggia sempre le stesse persone, ovvero quelle che oggi sostengono il mercato dei crediti di biodiversità. 

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