Conte il prestigiatore (di M. Magno)
Agli Stati generali è andato in scena Conte il prestigiatore. Considerati i suoi indisciplinati assistenti, riuscirà a estrarre il coniglio dal cilindro?
Dopo la decade (nel calendario giacobino sostituì la settimana) degli Stati generali dell’economia, il premier Giuseppe Conte ha dichiarato di sentirsi più forte. Va creduto sulla parola. Infatti, la passerella romana è stata ideata proprio per dare lustro all’immagine pubblica dell’ex avvocato del popolo. Per il resto, niente di nuovo solo il sole se non i rituali annunci di “vaste programme“, direbbe De Gaulle: dalle grandi infrastrutture alla riforma del fisco (anche se è altamente improbabile che le risorse europee possano essere utilizzate per tagliare le tasse).
Come da copione, tante promesse e poche cifre, a parte il voucher di 35mila euro per 500 donne aspiranti manager. Si vede che la politica dei bonus è redditizia per rastrellare consensi più di quanto comunemente si creda. Il presidente del Consiglio, insomma, continua a ostentare una invidiabile sicurezza, nonostante la litigiosa maggioranza che lo sostiene gli dia più di un grattacapo.
Dai decreti sicurezza al decreto “dignità”, dal Mes al Codice degli appalti, da Ilva a Autostrade, non c’è infatti scelta dell’esecutivo che non sia costretta a passare per le forche caudine di veti incrociati, polemiche pretestuose, distinguo astrusi. Palazzo Chigi in meno di tre mesi deve predisporre un piano di interventi in linea con le raccomandazioni di Bruxelles. Ebbene, c’è chi può pensare seriamente che il prestigiatore andato in scena a villa Doria Pamphilj, considerati anche i suoi indisciplinati assistenti, alla fine estrarrà il coniglio dal cilindro?
Purtroppo, appena qualcuno si azzarda a dubitarne, scatta immediata la reazione di quelli che… c’è la pandemia e quindi non bisogna disturbare il manovratore. Si è scomodato perfino un nutrito manipolo di intellettuali engagés per ricordare che, se non si mangia la minestra che passa il convento, l’unica altenativa è il menù avvelenato delle destre sovraniste. Pelose lezioni di realismo politico, con accluso divieto di domandarsi se mezzi cattivi non corrompano per avventura fini buoni. Lezioni tanto più indigeste se impartite da quei dirigenti di partito che spesso hanno a cuore solo il proprio destino personale, magari con un occhio rivolto al Colle.
L’etica politica è l’etica dei risultati e non dei princìpi, è vero. Ma di tutti i risultati? Se si vuol distinguere risultato da risultato -osservava Norberto Bobbio- non occorre ancora una volta risalire ai princìpi? Si può ridurre il buon risultato al successo immediato, magari come quello incassato dalle campagne xenofobe di Matteo Salvini? C’è un verso del Bellum Civile del poeta latino Lucano che recita: “Victrix causa deis placuit/ Sed victa Catoni”. Il suo senso è: la causa di Cesare vinse perché appoggiata dagli dei, mentre Catone l’Uticense perse per aver sposato la causa della libertà repubblicana. Significa che i vinti hanno sempre torto per il solo fatto di essere vinti? Ma il vinto di oggi non può essere il vincitore di domani?
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