I vecchi elenchi non sono carta straccia, raccontano come erano le nostre città (di S. Mentana)
Possono farci immaginare le cose che non abbiamo fatto in tempo a conoscere. Sono un codice per descrivere tante piccole storie che altrimenti rischiano di finire per sempre nel dimenticatoio
Le pagine gialle sono un oggetto ormai in disuso. Un reperto d’archeologia di una società analogica mandata in soffitta da quella digitale, dove a colpi di clic possiamo scoprire rapidamente il supermercato più vicino a casa, gli orari d’apertura del locale di grido nuovo di zecca, e scoprire che quel bel ristorante di quartiere, piacevole rifugio per pizze estemporanee, ha chiuso i battenti.
Le guide di settore, che si tratti di raccolte dei migliori ristoranti o semplici elenchi di esercizi commerciali, dopo qualche anno fanno il loro tempo. I dati si fanno obsoleti, gli esercizi commerciali chiudono, e quel volume che c’eravamo trovati in mano finisce dimenticato in qualche scaffale, o sacrificato per far spazio ad altro.
Non c’è storia per le pagine della cronaca locale dei vecchi giornali. Che brutta fine possono aver fatto, dopo anni: usate per incartare il pesce, o per non sporcare i pavimenti durante un ritocco all’imbiancatura di un muro. Ma proprio in quelle vecchie pagine possiamo ritrovare una pubblicità, una guida per il fine settimana, un suggerimento, tracce di quel cinema o di quel ristorante chiuso da anni, magari proprio quello in cui ogni tanto ci capitava di prendere una pizza o un piatto di pasta, e che ci racconta com’era una volta la nostra città.
I vecchi elenchi, telefonici e non solo, le vecchie guide, ci raccontano come era la nostra società. Esercizi e mestieri che vengono e che vanno. Non sono un semplice strumento di utilità, se sappiamo guardare oltre, e non si limitano a ricordarci cose che non ci sono più, ma possono farci immaginare le cose che non abbiamo fatto a tempo a conoscere. Senza che possano comparire in uno street view, senza una pagina Facebook, senza punti di riferimento possiamo infatti solo immaginarli.
È vero, potrebbero sembrare elenchi di gelidi nomi di società, ma uscendo dagli schemi sono un codice per raccontare una città, cristallizzata nell’anno della pubblicazione. È d’altronde questo ciò che ha fatto Aldo Palazzeschi, nella sua poesia La passeggiata: focalizzandoci al solo testo, niente più che un elenco di insegne, un collage. Andando oltre, un racconto di una strada, di una città. E le città, lo sappiamo, sono un organismo vivente che cambia pelle facilmente.
In questo cambio di pelle, c’è spazio per raccontare e tutelare nei secoli la storia, ma si perdono facilmente le piccole storie, quelle di tanti negozi, librerie, ristoranti, di quei luoghi più vari finiti al centro della vita di tante persone, teatro di chissà quanti avvenimenti, che rischiano perciò di finire nel dimenticatoio.
I vecchi elenchi, le vecchie guide alle proiezioni cinematografiche, a cosa fare stasera, i vecchi registri delle imprese, non sono carta straccia, ma qualcosa che ci permette di ritrovare pezzi di passato. Leggerli, anche a distanza di decenni, può essere più affascinante di quanto si possa pensare