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Il cognome è un’eredità morale da cui non si scappa pur se non lo si porta

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Arriveremo, certo, ad un punto in cui la scienza e la tecnologia ci consentiranno di interloquire con nostro figlio, formato e cosciente – con dettagli estetici rigorosamente da noi scelti – per chiedergli il consenso all’essere concepito. Traguardo ultroneo del diritto che tutela – giustamente – chi sarà, ed essendo indubbiamente sempre più concettualmente faticoso il saper vivere in questo mondo, è bene assicurarsene la volontà, in maniera preventiva, complici della sua e sola responsabilità.

Qualcuno più avvezzo di me ai suoi salotti, avverta Dio che ormai abbiamo imparato, grazie, continuiamo da noi.

Ma quando è che c’è stato il punto di rottura? L’ossessione del principio della libertà, tradita dal paradosso di doverla imporre per diritto? Quando è che è iniziata quest’epoca che definirei del perfettismo sociale? In cui nulla va detto perché tutto si può dire, allora inutile parlare. Siamo forse così ancora in fuga dal totalitarismo del fascismo che ci rifuggiamo in certezze forzate per essere sicuri di averlo superato. È il saggio che indica la luna e noi guardiamo lo smalto, neanche più il dito, è successo di nuovo. Curioso come ‘successo’ significhi sia ciò che si è già svolto sia la buona riuscita, in questo caso non vi è pericolo di fraintendimenti.

Invece che ledere il familismo amorale che scomodò il saggio Banfield nei meandri della Basilicata per coglierne l’essenza più vera e meschina, abbiamo colpito la famiglia in quella che è una tradizione, o meglio convenzione, di comodo più che di sostanza, a pro di una memoria del breve tempo, servile all’ego del momento invece che alla storia.

Il cognome è un’eredità morale da cui non si scappa pur se non lo si porta, siamo ciò che firmiamo e le colpe e i meriti dei padri ricadono sui figli in ogni caso, inutile dirsi il contrario.

Chiedetelo a Lapo che trasuda Agnelli in ogni suo sbaglio e trascura il suo ben più intellettuale patronimico, chiedetelo al figlio di un pentito che vorrebbe continuare a far carriera nella sua cosca o peggio ancora al figlio di un camorrista che vorrebbe avere una vita onesta.

Il cognome è sangue e porta con sé il peso di dover accontentare gli avi, l’ha pensato perfino Keynes smussando la severa rigidità dell’economia a cospetto delle tradizioni dei più sensibili.

Ma è l’epoca dell’io e non c’è spazio per avere rispetto del passato, si vive il tempo attuale, senza inizio senza fine. Si nasce e si muore, evoluzione tracotante che si esaurisce in un solo giro, non c’è più bisogno di ostentare la propria storia in un nome, si dimostra la propria vita solo attraverso ciò che si fa, forse è più giusto così, se solo, poi, si facesse davvero qualcosa: non più fieri, però liberi di essere solo ciò che si crede, senza convenzioni sociali, senza oppressioni di alberi genealogici invadenti. 

Di quegli alberi restano solo le foglie, è davvero una nuova stagione: l’autunno, e noi ne siamo i soldati, Ungaretti ti ho capito.

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