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Cittadinanza e Olimpiadi: non si riduca lo ius soli a un premio

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Le medaglie vinte dall’Italia alle Olimpiadi di Tokyo (ben 40) hanno riacceso il dibattito sullo ius soli. In verità, già nei giorni scorsi, il presidente del Coni, Giovanni Malagò – visti i successi ottenuti grazie alla partecipazione degli italiani di seconda generazione – aveva rilanciato la proposta di introdurre quanto prima uno ius sportivo.

“Ci sono decide di pratiche che giacciono sui tavoli. È vero che a 18 anni puoi fare quello che vuoi, ma se aspetti il momento per fare la pratica hai perso una persona. A volte ci sono tre anni di gestazione e nel frattempo, se l’atleta non ha potuto vestire la maglia azzurra, o smette, o va nel suo Paese di origine, o ancora peggio arriva qualche altro Paese che studia la pratica e in un minuto gli dà cittadinanza e soldi”, ha detto Malagò.

Il dibattito sullo ius soli è sull’orlo di una pericolosa deriva. Sono anni che in Italia si discute a fasi alterne dell’opportunità di introdurre una legge sulla cittadinanza. Le parti politiche chiamate in causa sono sempre le stesse ma il dibattito si arena come di consueto su ideologie e propaganda (non da ultimo il botta e risposta tra Lamorgese e Salvini). E il rischio è proprio che ormai una discussione così importante si metta in ballo solo per fini elettorali e che a battersi davvero per cambiare le cose siano sempre e solo i cittadini che a oggi non possono definirsi italiani al 100%.

Le parole di Malagò in questo senso sono paradigmatiche. È davvero plausibile pensare che la cittadinanza italiana debba essere concessa per meriti sportivi e non – per esempio – a chi ha frequentato tutte le scuole in Italia, come potrebbe prevedere lo ius culturae? Sei sei uno sportivo ed eccelli allora ti vengono concessi i diritti della cittadinanza. Vogliamo trasformare lo ius soli in un premio? Mauro Berruto, il popolare ex ct della nazionale di pallavolo maschile, lo ha spiegato molto bene: “La questione ius soli è antecedente, non da acquisire in virtù di un talento o di una prestazione”.

Il punto è: il resto degli italiani di seconda generazione che stanno cambiando questo Paese? Li lasciamo alle loro sorti? Vogliamo un esercito di persone che si cimenti nello sport pur di ottenere quell’agognato pezzo di carta?

Sì, i processi democratici sono lunghi e passano anche attraverso le battaglie singole che scaturiscono dal “particolare”. Ma assistere alla puntuale strumentalizzazione di questo argomento è deprimente e mortifica gli sforzi di chi lavora tutti i giorni per cambiare le cose. Questi teatrini politici che si esauriscono nel giro di 24 ore non fanno altro che svilire e banalizzare il dibattito. E non è certo acuendo le differenze all’interno delle generazioni che possiamo pensare di costruire una società al passo coi tempi. La deriva è sempre la stessa: strumentalizzare un dibattito e lasciarlo in pasto ai Salvini di turno.

La cittadinanza italiana non è un coniglio che si può tirar fuori dal cappello quando ci è più comodo. E non basteranno queste medaglie a ricordare quanto urga un cambiamento. Ci vuole qualcosa di più. Enrico Letta ha detto che dopo le Olimpiadi “la consapevolezza è divenuta più generale. Per questo rivolgo un appello a tutte le forze politiche ad aprire una discussione in Parlamento e a trovare una soluzione sullo ius soli”. Lo ius soli, o meglio lo ius scholae, è fermo in commissione Affari costituzionali di Montecitorio e il relatore è il presidente della commissione, il grillino Giuseppe Brescia. Che si dice pronto a fare ripartire l’iter. Salviamo lo ius soli da promesse senza futuro.

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