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Caro Cerasa, ti spiego le mie “scemenze” su green pass e persone trans (di Monica Cirinnà)

Immagine di copertina
Monica Cirinnà nell'illustrazione di Emanuele Fucecchi

Ospitiamo con piacere una lettera della senatrice Monica Cirinnà

Caro Direttore, la ringrazio per avere voluto dare, ancora una volta, ospitalità ad alcune mie riflessioni su quel che sta accadendo negli ultimi giorni dopo le mie dichiarazioni sui problemi che le persone trans stanno incontrando in sede di esibizione del Green Pass. Sono abituata a ricevere critiche e attacchi. Mi accade continuamente, nei luoghi della politica come sui social network. Cerco di rispondere sempre con garbo e talvolta – grazie anche al mio meraviglioso staff – con ironia. E cerco sempre, soprattutto, di non farmi intimidire, convinta come sono della necessità di continuare a dare voce a istanze che troppo spesso, nel dibattito pubblico, sono dimenticate, misconosciute, addirittura irrise.

È successo anche stavolta. Per aver richiamato l’attenzione sul fatto che l’esibizione del documento di identità, per una persona trans che non abbia ancora ottenuto la rettificazione anagrafica, può essere fonte di disagio, outing forzato e in alcuni casi una forma di strisciante violenza istituzionale, sono stata accusata da più fronti. C’è stato chi ha strumentalmente confuso le mie posizioni con quelle dei no-vax e dei no-pass: nulla di più falso. C’è stato chi mi ha accusata di voler creare una zona franca per una sola categoria di persone, esentandole dall’obbligo di mostrare il Green Pass: nulla di più falso, ma d’altronde quella testata ci ha da tempo abituato alla diffusione di fake news.

C’è stato chi mi ha accusata di ricordarmi delle persone trans solo in questa situazione, fingendo di non conoscere le mie battaglie e, soprattutto, mostrando una scarsa capacità di comprensione del testo della mia intervista. E c’è stato, ovviamente, chi mi ha rivolto le solite ridicole accuse di essere una paladina dell’ineffabile “gender”; e chi mi ha accusata di occuparmi di questioni marginali, quando invece le priorità e le necessità del Paese sarebbero altre (rifiutandosi di capire, come al solito, che quel che accade “ai margini” illumina la comprensione di tutto il resto).

Accuse formulate non solo sui social, ma anche dal direttore di un importante quotidiano nazionale, che si è spinto a evocare, per me, un Green Pass contro le scemenze. Ecco, di fronte a un esempio così lampante di ignoranza – nel senso, etimologico, di ignorare ciò di cui si parla – non posso tacere. Scelgo di rispondere, approfittando del periodo estivo, con un gioco di parole, un acrostico.

Superficialità: quella di chi liquida un argomento serio, che chiama in causa la vita quotidiana delle persone, con una battuta insultante.

Comprensione: quella che si nega, per principio, per posa o più spesso per pregiudizio e ideologia, a esperienze lontane dalle nostre e spesso difficili, per non dover affrontare la propria ignoranza e la propria mancanza di empatia.

Esclusione: quella che subiscono tutte le persone considerate “diverse” perché non corrispondenti allo stereotipo di matrice patriarcale ed eteronormativa.

Misoginia: quella che colpisce me, in quanto donna e senatrice. Sono sicura che una risposta così banalizzante, sciatta e denigratoria non sarebbe stata data a un collega uomo.

Emergenza: quella che viene agitata strumentalmente dai benaltristi, per dire che non è il momento di occuparsi dei diritti delle persone. E quella, profonda, che deriva invece dalla rabbia e dal disagio sociale delle tante categorie di persone escluse e discriminate, invisibili proprio a quegli stessi benaltristi che affollano la politica e i giornali.

Negligenza: quella di chi si fregia del titolo di direttore di giornale e, anziché avere il coraggio di affrontare nel merito un argomento complesso che colpisce la vita quotidiana di tante persone, alle quali viene negata pari dignità sociale, preferisce liquidare il tutto con una semplice riga denigratoria.

Zan: il bersaglio preferito di chi non vuol vedere l’urgenza di questioni così profondamente legate alla dignità. Un testo, la cui necessità è dimostrata proprio da queste banalizzazioni dense di pregiudizio. Non solo perché nominare identità di genere e orientamento sessuale in una legge aiuterebbe a comprenderne l’importanza (ciò che non si nomina non esiste: l’ho imparato dal femminismo). Ma anche perché una vicenda come quella che mi ha colpito dimostra quanto radicato sia, nella nostra cultura, il pregiudizio transfobico e transescludente; e quanto sia fondamentale arginarlo prima di tutto con politiche culturali adeguate, come quelle che il ddl Zan mette in campo.

Esistere: il diritto delle persone, e in questo caso delle persone trans, di esistere in condizioni di libertà e pari dignità. Di essere riconosciute a pieno titolo come membri della nostra comunità politica. Di non essere inutilmente vessate o esposte a umiliazioni pubbliche, come invece troppo spesso accade. Quel che sta accadendo a queste persone in relazione al Green Pass è solo uno dei tanti esempi delle difficoltà che incontrano a causa di una legislazione ormai inadeguata (che subordina la rettifica anagrafica a procedimenti lunghi e onerosi) e di una radicata mancanza di conoscenza, comprensione e formazione.

Ecco le mie “scemenze”, caro Direttore. O forse dovrei dire la mia declinazione – in acrostico – di quelle che una nota ciliegia ha voluto definire scemenze. Attendo di potermi confrontare nel merito, se la ciliegia ne avrà il coraggio, per rispondere a banalizzazioni e semplificazioni, ribadendo alcuni semplici concetti. Ad esempio, che il Green Pass è uno strumento necessario; che nessuna persona invoca privilegi, ma che tutte hanno diritto a pari dignità sociale e rispetto della riservatezza. Che non esistono urgenze di serie A e urgenze di serie B. E che quel che urge, piuttosto, è la conoscenza, assieme alla costruzione di una cultura del rispetto.

Leggi anche: Donne del PD, ora basta: sfondiamo le porte che altrimenti resteranno chiuse (di Monica Cirinnà)

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