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Ciao Franco, amico edicolante (di G. Gambino)

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Franco si svegliava da trent’anni all’alba ogni mattina e, assieme a un gruppo sempre più ristretto di persone come lui, cercava di far sopravvivere l’informazione, convinto che un Paese senza giornali rischia il buio. La prima volta mi scrisse subito dopo che la nostra rivista aveva esordito in edicola a settembre 2021. Il nome della sua casella postale mi incuriosì subito: unasolaedicola@.

Si firmava sempre così alla fine delle sue mail: «Un sorriso, Franco» (un giorno gli feci notare che spesso quello era il saluto con cui Matteo Renzi congedava i lettori della sua newsletter: mi rispose che non lo sapeva e che avrebbe riflettuto se usare ancora quella formula).

Le sue mail erano puntuali: stai sicuro che ogni venerdì mattina di buon ora, spesso anche prima che mi svegliassi, il suo messaggio era già lì. Non chiamava quasi mai, scriveva sempre solo mail, con molta disinvoltura e anche durezza o sfacciataggine, se necessario, mentre invece le volte che ci siamo sentiti al telefono appariva timido.

Scriveva dalla sua edicola di Milano: «Dovremmo organizzare una battaglia tutti insieme… tu che conosci, proponi a qualche editore di fare quella mia iniziativa sui tappi di bottiglia». Ancora: «Offri ai tuoi lettori un abbonamento digitale scontato se ciascuno di loro viene poi a ritirare la sua copia in edicola». Il suo must, ricorrente quasi in ogni sua comunicazione: «La pubblicità sia deducibile fiscalmente solo se fatta ai veri editori responsabili di un’informazione autorevole. Togliamo subito gli incentivi alle Big Tech che fanno pubblicità su Internet».

Con lui scoprii l’affascinante mondo degli edicolanti, confidenti e amici anche se a mala pena conoscenti, perché sangue dello stesso sangue, merce della stessa merce. Basta uno sguardo e con loro ti capisci subito; non serve nemmeno piangere miseria: la tua è anche la loro.

Non a caso, gli edicolanti, sono anche i più preziosi lettori. Senza sconti o formalismi. «Numero mediocre, potevi fare meglio». La settimana successiva: «Numero straordinario, davvero». E lo diceva sul serio, in un verso o nell’altro. Un termometro unico nel suo valore, per i direttori. «Questa roba è assurda, insistete su questo tema, andate avanti!».

I suoi modi per dirti che le vendite avevano ripreso a decollare dopo un numero-no: «Oh ma quanto ci mette Sodip (il distributore, ndr) a mollare le copie di TPI n.17?? Un lettore ti fa i complimenti e ti informa che un suo amico a Palermo non riesce a trovarvi facilmente in edicola». Poi: «Ora mi taccio in attesa del prossimo numero di TPI…argomento?». Infine: «Oggi Riccardo Iacona ha comprato TPI qui da me!!». (L’edicola di Franco è vicino agli studi Rai di Milano).

Un giorno andai a trovarlo da lui in edicola, gli feci una sorpresa, parlammo mezz’ora, gli comprai una decina di quotidiani per supportarlo. Mi regalò il suo libro “Milano: no more cash”. Lo conservo ancora a casa. Poi una sera dello scorso aprile organizzò una conferenza sulla crisi dell’editoria. Stava per nascere mia figlia e mi collegai da remoto ma partecipai con impegno ed enorme piacere.
«Dobbiamo trovare il modo di dirottare i soldi della pubblicità sulla carta stampata sottraendoli ai social media. Costringere i social a chiedere un contributo diretto agli utenti così come fanno i giornali: solo così si potrà giocare ad armi pari». Questo il suo ultimo messaggio che mi ha inviato. Era estate. A luglio si è ammalato. Da quel momento la sua edicola è rimasta chiusa.

Sabato scorso ricevo una mail, sempre la solita casella, era il figlio Luca, 25 anni, ricercatore negli Usa: «So che con papà vi scrivevate ogni tanto. Volevo purtroppo comunicarti che è deceduto ieri notte. Terremo il funerale questo lunedì». Un fulmine a ciel sereno.

Mi mancherai Franco. Tanto. Grazie di tutto, davvero. Un sorriso, il tuo “superdirettore”.

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