Vi racconto la guerriglia satirica di Charlie Hebdo e dei suoi vignettisti apostoli di libertà
Emanuele Fucecchi, tra i più apprezzati illustratori e vignettisti italiani, ricorda i colleghi uccisi nell'attacco terroristico del 7 gennaio 2015
La satira è sempre guerriglia di confine. La sua missione quotidiana è compiere scorrerie lungo la linea di frontiera tra consenso e potere. Ma anche tra sacro e profano, perché il potere si ritaglia sempre un recinto clericale. Se la satira è vera, indicare che il re è nudo non è mai indolore.
Il mio mestiere di illustratore mi baluginò come vocazione molto precoce di fronte ai numeri speciali de Il Male, quelli sul crollo del parlamento o sull’arresto di Tognazzi come capo delle Brigate Rosse. La sensazione di visitare una trincea leggendo il giornale, colorato, clandestino, urticante, era nettissima.
Lo Stato stava davvero per crollare, le strade erano piene di morti ammazzati, scegliere un attore comico per parodiare tanta efferatezza era davvero “rivoltante”. E nel rovescio della realtà che offriva si aveva la sensazione di aver guadagnato un punto di vista nuovo e qualche metro di realtà. Tutte le esperienze di questo tipo non si possono istituzionalizzare: sono brevi, ficcanti, autocombustive.
I protagonisti de Il Male si sono poi sparsi per i media nella successiva stagione di pacificazione. Charlie Hebdo, invece, è rimasto sulla scena. Esiste da cinquant’anni, è diventato un’istituzione. Per qualche tempo l’abbiamo ritenuto senza più nemici: la Francia è stata ai nostri occhi patria di democrazia e trasparenza più della nostra claudicante repubblica. Su cosa avrebbe fatto satira in una nazione moderna ed efficace?
Da noi la satira è entrata in agonia da vent’anni perché il re si denudava da solo, oltre le Alpi sembrava morire di noia. E invece Charlie, anche se non più divertente come prima, era ancora lì, border-line. Le sue vignette, anche quelle troppo piccanti da diventare insipide, cercavano con pervicacia e determinazione le linee nemiche per salvare la sua profonda natura caustica, per salvarsi dall’omologazione.
Quando il giornale francese ha subito minacce e attentati nel 2006 e nel 2011, per le sue iniziative sull’Islam, ci siamo resi conto che esisteva un conflitto nuovo e potente anche se più difficile da circoscrivere. Quello tra libertà e pregiudizio, in un epocale scontro di identità culturali. Dove arriva la libertà di vilipendere la religione? Si offende la persona se si offende ciò in cui crede? La barra della satira non può che essere dritta e ineluttabile: è fede vera solo quella che non teme vilipendio.
È sacro il recinto dell’individuo, non quello delle sue opinioni, passibili di vaglio, critica e anche offesa, fino a nuovo incontro culturale. Senza questa certezza costruiamo società giustapposte, accatastate in cui, nella versione transalpina, l’ipocrisia perbenista elisea si affianca al fanatismo esplosivo delle banlieue. Senza satira siamo disarmati, fragili e falsi. I figli degli immigrati che hanno conservato le loro radici saranno i primi a ringraziare un giorno il coraggio e la sfrontatezza di Charlie.
Per questo oggi, a distanza di cinque anni dalla strage, recito di nuovo l’elenco dei vignettisti e collaboratori uccisi come un martirologio. Sono apostoli di libertà di cui abbiamo un bisogno vitale. E nel momento in cui li celebro li prendo per il culo. So per certo che loro apprezzeranno da quel cielo vilipeso in cui sono stati teneramente accolti.
Stéphane Charbonnier (Charb), direttore e disegnatore;
Jean Cabut (Cabu), vignettista;
Georges Wolinski, vignettista;
Bernard Verlhac (Tignous), vignettista;
Philippe Honoré, vignettista;
Mustapha Ourrad, curatore editoriale;
Elsa Cayat, psicanalista e giornalista;
Bernard Maris, economista professore all’Università di Parigi;
Michel Renaud, fondatore del festival Rendez-vous du Carnet de voyage;
Frederic Boisseau, addetto alla manutenzione;
Ahmed Merabet, agente di polizia in servizio nel XI arrondissement di Parigi;
Franck Brinsolaro, ufficiale del servizio di protezione, guardia del corpo di Charb.