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Come è andata la manifestazione della Cgil a un anno dall’assalto squadrista: il racconto dalla piazza antifascista

Immagine di copertina
Credit: Maurizio Tarantino

Roma 8 ottobre 2022. Mentre il corteo arrivava a Piazza del Popolo, metà dei manifestanti era ancora in attesa di partire dal concentramento in Piazza della Repubblica. La Cgil ha risposto compatta – dalla Sicilia al Piemonte – alla chiamata a Roma del segretario Maurizio Landini, un anno dopo l’assalto fascista e squadrista dell’8 ottobre 2021.

A partire dallo striscione sul palco che chiedeva ascolto all’Italia e all’Europa per il lavoro, molto si è detto su uno dei momenti più critici per il continente: dalla richiesta di pace per cui si immagina una mobilitazione nazionale nelle prossime settimane, alla necessità di interventi straordinari sui vertiginosi aumenti delle bollette; dalla lotta all’inflazione, all’attenzione per l’ambiente. Il cuore di questa piazza viva e partecipe è stato, però, il fermo richiamo all’antifascismo in ricordo dell’assalto alla sede della CGIL del 2021. Il segretario Landini ha scandito così il suo monito: “Un anno fa proprio da questa Piazza ci fu chi incitò ad assaltare la Cgil. Qualcuno ha sfruttato il malessere sociale per attaccare il sindacato e i lavoratori. Questo ha un nome e cognome, si chiama fascismo e noi lo dobbiamo combattere”.

L’iniziativa di oggi ha avuto anche lo scopo di proporre un’assise internazionale per fondare una confederazione europea antifascista, con appelli alla solidarietà da parte dei maggiori sindacati europei, compreso quello dei sindacati ucraini, e di quelli internazionali, come il sindacato brasiliano che ha condannato il “fascista” Bolsonaro davanti a una piazza che ha applaudito quando si è auspicata la vittoria di Lula il prossimo 30 ottobre.

A poche settimane da un risultato elettorale che ha segnato una vittoria storica per la destra sociale in Italia, il caso ha voluto che il calendario segnasse la prima mobilitazione di Piazza di questa nuova fase, con un’iniziativa politico-sindacale che vuole segnare la condanna di un enorme scheletro rimasto nell’armadio legato ai movimenti della destra in Italia. Un episodio aberrante accaduto l’8 ottobre 2021e che ha visto protagonista, suo malgrado, la sede romana della Cgil, e ricordato come “assalto alla Cgil”. Oggi, decine di migliaia di persone erano lì sotto l’obelisco di Piazza del Popolo a ricordarlo. 

Ieri a Roma c’era l’Italia antifascista.

Esattamente un anno fa è accaduto, per la prima volta dagli anni del fascismo, che una sede di un sindacato sia stata assaltata da una furia incontrollata di forze dichiaratamente neo-fasciste.

Ricordiamo tutti la preoccupazione delle istituzioni e dello stesso premier Draghi che si recò il giorno dopo sul luogo dei fatti, per abbracciare il segretario Maurizio Landini, colpito in pieno da un atto di inedita violenza e pericolosa furia.

Le immagini dell’assalto alla sede della Cgil, che tanto ci hanno ricordato quella di Capitol Hill e l’invasione del Campidoglio americano a Washington del 6 gennaio 2021, sotto la presidenza Trump, hanno rappresentato uno dei momenti più allarmanti della storia recente del Paese, compiuto ad opera di agitatori, facinorosi, eversivi.

Il processo nel quale l’ANPI si è costituita parte civile si riaggiorna il 15 ottobre e vede coinvolti Giuliano Castellino, Roberto Fiore e Luigi Aronica di Forza Nuova quali possibili organizzatori dell’assalto. Intanto il leader Castellino, insieme al suo avvocato Carlo Taormina, nelle stesse ore della manifestazione alla Cgil, promuove un’assemblea con tanto di lancio della sua nuova associazione “Italia libera”. Ad oggi i processi avviati sono tre e tutti coinvolgono persone vicine o accostabili a Forza Nuova, compreso quello che ha già espresso una condanna nei confronti di Fabio Corradetti, figlio della compagna di Castellino, e di altre sei persone, tutte accusate di devastazione e resistenza.

Attorno all’associazione neo fascista Forza Nuova, che nel 2018 è arrivata a presentarsi alle elezioni, e in generale all’estrema destra italiana, nel periodo della pandemia si è creata una magmatica area di consenso che, muovendo dalle strumentalizzazioni sul malcontento no-vax, nascondeva dietro le quinte principi di sovversione all’ordine costituito, incitando ad azioni di rivolta contro lo Stato e contro quella che abilmente definivano dittatura sanitaria. In seno a una manipolazione del consenso, gruppi apertamente ispirati al neofascismo non si sono fatti alcuna remora a entrare nella sede del sindacato, sfasciando e rompendo tutto quello che trovavano davanti, filmandosi a vicenda e pubblicando sul web immagini d’inequivocabile gravità. È stato uno dei momenti più bassi per l’Italia della pandemia. In questo modo le contestazioni sul diritto ad astenersi dal vaccino e sul green pass obbligatorio si sono macchiate di violenza fascista.

In seguito alla vicenda è stata chiesta per l’ennesima volta una legge che imponga di sciogliere i partiti e le associazioni dichiaratamente fasciste. E anche qui Landini è stato chiaro: “le forze dell’ordine stanno facendo il loro mestiere arrestando e accertando chi è stato colpevole. Chi non sta facendo il proprio lavoro è chi siede in Parlamento, perché non sta applicando la Costituzione, sciogliendo i partiti neofascisti”. In effetti, oggi quella legge non ha ancora visto la luce e non è stata oggetto neanche di una seria riflessione.

Il governo Draghi non ha mai neanche aperto il dossier nel Consiglio dei Ministri; di contro, le poche volte che se n’è parlato in Parlamento, nell’udienza alla Lamorgese dopo i fatti dell’8 ottobre, dove la stessa Ministra ammise che vi erano “seri rischi di reazione violenta se si bloccava Castellino” e nelle altre poche occasioni, qualsiasi dibattito è stato fortemente stigmatizzato da Fratelli d’Italia  e dalla Lega.

Ora, non ci sarebbe certo bisogno di ricordarlo, se non fosse per l’oblio che ormai colpisce non solo le nuove generazioni. Come lo stesso segretario ha detto: “100 anni fa il fascismo partì proprio così, assaltando e bruciando le Camere del Lavoro, mettendo in discussione il diritto allo sciopero e i diritti dei lavoratori”. Il fascismo è stata una forza reazionaria che è avanzata con furia omicida e distruttrice, assaltando e bruciando quelle che allora erano le Case del Popolo e picchiando selvaggiamente i sostenitori della “Lega” che allora non era quella di Salvini, ma quella dei braccianti. Forse a qualcuno farebbe bene rivedere “Novecento”, impareggiabile affresco di Bernardo Bertolucci sulla storia del fascismo in Italia.

L’Italia, oggi più che mai, non si può permettere di dimenticare l’episodio dell’assalto alla Cgil del 2021, perché proprio tramite azioni simili, il fascismo mosse i primi passi un secolo fa. È un paragone anacronistico, esagerato? Forse, ma non possiamo sottovalutare accadimenti così gravi.

Un movimento violento, che in maniera arbitraria decideva di picchiare, umiliare, uccidere delle normali persone con idee diverse da quelle propinate da Mussolini, ha plasmato la nostra storia. È successo in questo Paese che illustri intellettuali, come Piero Gobbetti, siano stati picchiati da orde di ignoranti violenti su ordine dei capi di governo; che  parlamentari,  come Giacomo Matteotti, siano stati uccisi per aver avuto il coraggio di opporsi a Mussolini; che artisti tra i più apprezzati nella storia dell’arte mondiale, come il Maestro Arturo Toscanini, siano stati aggrediti fisicamente per essersi rifiutati di eseguire l’inno fascista. Soprattutto, è accaduto che tanti lavoratori e braccianti comunisti e socialisti siano stati torturati, malmenati, uccisi e in alcuni casi bruciati vivi al grido di “viva il Duce”. Dell’8 ottobre si dovrà continuare a parlare anche in futuro, e su questo accadimento sarebbe gradita una ferma condanna da parte della probabile futura Presidente del Consiglio. 

Bene ha fatto la Cgil a invitare tutti i partiti politici a manifestare solidarietà e dissenso verso questo vile atto. È proprio questo che dovremmo chiedere a voce alta a Giorgia Meloni che nella recente campagna elettorale ha fatto di tutto per allontanare da sé i richiami al neofascismo, non rinunciando però a quella fiamma tricolore nel simbolo del suo Partito che ancora le impedisce di recidere le radici con il passato.

Oggi la Cgil è un baluardo, un bene comune e un presidio di memoria. Simbolo di un Paese che vuole definitivamente chiudere con un’epoca ormai lontana, nonostante in queste settimane si ritrovi – proprio per la vittoria di Fratelli d’Italia – su tutti i giornali d’Europa accostato al fantasma del ritorno alla sua storia più buia.

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