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Centrosinistra, la strada per l’alleanza è già tracciata: ecco perché

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Credit: AP

Presto i partiti del centrosinistra saranno costretti a stare insieme per le campagne referendarie su autonomia differenziata e premierato. Saranno occasioni d’oro per provare a costruire un fronte comune

Se dovessimo chiederci quale sia stato il più grande lascito di Silvio Berlusconi alla politica, la risposta potrebbe forse essere: il centrodestra italiano. Non tanto perché a lui si deve la costruzione di un’area che nel corso della Prima repubblica non era di fatto esistita, quanto per aver preso partiti dalle caratteristiche e dalla storia molto diverse e averne creato una coalizione che, ancora oggi, non solo resiste, ma al momento governa. Quando si va a votare, infatti, sappiamo quasi certamente che i tre partiti, Forza Italia, Fratelli d’Italia (Alleanza Nazionale prima di loro) e la Lega, al netto di qualche giro di valzer solitario, magari con cartelli e denominazioni leggermente diversi, correranno insieme. Lo stesso, invece, non può dirsi del centrosinistra. 

Se la compagine di governo è oggi perfetta espressione del centrodestra creatosi nel 1994, il centrosinistra odierno altro non è che un disordinato cartello di opposizioni al lavoro per cercare di diventare una coalizione con tutti i ritardi, le incertezze, le divisioni e le difficoltà di comunicazione e dialogo del caso. 

Lo hanno mostrato bene le elezioni politiche del 2022, arrivate mentre l’allora leader del Partito Democratico Enrico Letta auspicava la nascita del «campo largo» e finite in una disordinata corsa a tre gambe con un centrosinistra ridotto al quartetto Pd-Avs-Più Europa-Di Maio, il Movimento Cinque Stelle in corsa solitaria e il Terzo Polo di Renzi e Calenda. Un errore imperdonabile, che ha lasciato al centrodestra la strada spianata nei collegi uninominali. 

Il centrodestra ha agevolmente vinto le elezioni e Fratelli d’Italia è stato il partito più votato sia alle politiche del 2022 che alle europee del 2024 ed è insindacabilmente primo nei sondaggi da anni, ma la coalizione guidata oggi da Giorgia Meloni non è così inscalfibile come potrebbe sembrare. Analizzando il voto più recente, quello dello scorso giugno, vediamo infatti come a livello nazionale oltre la metà dei voti sono andati a soggetti politici all’opposizione riconducibili a una vasta area di centrosinistra. 

Qualcuno potrebbe chiedersi cosa aspettino ad allearsi per riuscire ad andare al governo, ma la situazione è più complessa di quanto si possa pensare. 

Sappiamo bene, intanto, quanto in politica uno più uno non faccia automaticamente due, e molte delle forze politiche coinvolte hanno ancora diverse questioni in sospeso. 

Prendiamo ad esempio Matteo Renzi e il Movimento Cinque Stelle: per quanto dall’ex premier siano arrivate negli ultimi mesi importanti aperture e sia emersa una chiara volontà di aderire al centrosinistra, per anni tra lui e i pentastellati non è corso buon sangue. Senza un accordo e una coalizione costruiti in modo tale da risultare credibili agli elettori, si può anche seppellire ogni ascia di guerra, ma il rischio è sempre quello che gli elettori preferiscano spostarsi da qualche altra parte. 

Il rapporto Renzi-Cinque Stelle, però, è solo una delle tante questioni che riguardano la potenziale coalizione di centrosinistra: i partiti non dovranno trovare la quadra solo tra di loro, ma anche al loro stesso interno. 

È il caso prima di tutto del Movimento Cinque Stelle, che si appresta a svolgere il mese prossimo un’assemblea in cui deciderà che strada prendere: se abbandonare una volta per tutte il purismo intransigente delle origini o se questo in qualche modo sopravvivrà in qualche altra forma. Mentre tra Giuseppe Conte e il fondatore Beppe Grillo la tensione si fa alta, è abbastanza chiaro che i Cinque Stelle si avvicinano a un passaggio che potrebbe essere traumatico e tradursi anche in un cambio di linea o in una scissione: qualcosa che, in ogni caso, avrebbe contraccolpi sulla creazione della coalizione. 

Una delle questioni relative al “Campo largo”, “Campo progressista” o comunque vogliamo chiamarlo è chiarirne il perimetro al netto di una serie di incognite. 

Se il Pd ha il ruolo naturale di perno della coalizione, consolidato da un robusto risultato nelle ultime europee, se Alleanza Verdi e Sinistra e Più Europa sono stati alleati dei dem anche nel disastro del 2022, gli altri rapporti, seppur avviati, sono ancora da definire anche al netto delle situazioni interne ai diversi partiti. 

Il Movimento Cinque Stelle è stato negli anni protagonista di diversi tira e molla col Pd, con cui oggi il rapporto sembra ormai più che avviato, ma comunque – visti i precedenti – la cautela è d’obbligo, soprattutto alla luce di possibili allargamenti ulteriori della coalizione. 

Matteo Renzi ha mostrato una volontà chiara di entrare nel centrosinistra ed Elly Schlein non ha posto alcun veto a riguardo, ma non sono mancate le note critiche dai partiti più a sinistra della coalizione. 

Diversa la posizione di Carlo Calenda, che sembra voler proseguire su una linea solitaria e fuori dai poli per Azione. 

Eventuali allargamenti ad altre forze, ad esempio alcune di quelle che hanno composto la lista Pace Terra Dignità di Michele Santoro alle scorse europee, sono tutti da vedere ed eventualmente potrebbero avvenire in un momento successivo. Forze diverse, con storie diverse e che saranno chiamate a una decisione – stare nel centrosinistra o rimanerne fuori – che potrebbe creare spaccature interne, scissioni, cambi di casacca che potrebbero in qualche modo alterare il percorso per la nascita di questa alleanza. 

Ma non è tutto. Perché gli accordi politici sono una cosa che deve andare di pari passo con altri elementi, come il programma e la scelta di un leader, e i tempi in cui il centrosinistra dava vita all’Ulivo di Romano Prodi sembrano molto lontani. 

Ad oggi, vediamo tra i partiti del potenziale Campo largo una serie di differenze su molti argomenti, dalle guerre in corso alle politiche sul lavoro e sulle tasse, ma l’elenco sarebbe lungo. 

Riguardo il possibile leader, poi, il discorso non è stato praticamente sfiorato. 

Tuttavia, se guardiamo alla consolidata compagine di governo del centrodestra, possiamo vedere come nel 1994 Silvio Berlusconi abbia unito forze dalla cultura politica molto diversa, dal mondo liberale a quello democristiano conservatore, passando per i post-missini di An alla Lega all’epoca nordista e autonomista. Non era facile né scontato che funzionasse, ma oggi è una realtà che a distanza di 30 anni funziona. E il centrosinistra cosa può fare per provare a consolidare e cementificare l’alleanza? 

Il timore, visti anche alcuni precedenti, è l’accozzaglia che rischia di impantanarsi tra veti e divergenze. Ma oggi quest’area ha di fronte a sé anche una grande opportunità. Nel futuro prossimo, infatti, gli italiani potrebbero essere chiamati al voto prima in un referendum sull’autonomia differenziata e poi in un altro sul premierato. Le opposizioni, unite nel contrastare queste due riforme, dovranno per forza fare campagna elettorale insieme, e mobilitare gli italiani sotto le stesse parole d’ordine, nel caso del premierato senza nemmeno necessità di raggiungere il quorum. 

Con questi presupposti, si creerà per forza una sorta di referendum non solo su quella proposta, ma anche sul Governo stesso e con un’opposizione unita: un punto di partenza come questo non capita sempre e porterà quasi naturalmente a un bipolarismo nella testa degli elettori. Quindi, i partiti di centrosinistra dovranno fare il resto, perché la strada per costruire un’alleanza non è mai facile, ma in questo momento, seppur tortuosa, sembra anche essere già tracciata.

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