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La censura dei classici greci e romani negli USA riguarda anche noi

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La libertà e la tolleranza sono concetti fondamentali per la nostra società e sacrosanti da difendere, ma se la loro difesa si trasforma in fanatismo, il rischio è che vada a minare proprio le basi stesse del pensiero che ha condotto alla conquista di questi valori. Una prova lampante è la battaglia in corso in alcuni contesti americani contro i classici greci e latini, tacciati di razzismo e che, seppur fisicamente lontana riguarda in prima persona il nostro Paese, il nostro continente e la nostra cultura.

Da molti mesi stanno prendendo piede negli Stati Uniti e non solo fenomeni di censura verso opere di qualsiasi genere ritenute “razziste” per le ragioni più disparate, spesso appellandosi a frasi o concetti presi fuori da qualsiasi contesto. Ne sono un esempio l’abbattimento di molte statue tra cui quelle di Cristoforo Colombo ma anche la vicenda della traduzione delle poesie di Amanda Gorman in olandese e la cancellazione dei nomi di George Washington e Abramo Lincoln dalle scuole di San Francisco. A questi si è aggiunto un movimento d’opinione contro i classici greci e latini, tacciati di promuovere forme di razzismo e di mascolinità tossica.

Dall’anno scorso compaiono sempre più testimonianze di persone che negli Stati Uniti si battono contro l’Odissea, un’opera alla base della letteratura globale, ritenuta una promozione della “mascolinità tossica”, cui fanno eco figure di alto profilo accademico come Dan-el Padilla Peralta, professore di storia romana nella prestigiosa università di Princeton, secondo cui i classici greci e romani non devono avere spazio, perché contribuiscono a portare avanti il dominio razziale bianco.

La nostra società, la nostra cultura e la nostra letteratura, in Europa così come nelle Americhe, non sarebbero però quelle che sono senza, tra gli altri, i greci e i romani. Senza l’Odissea non vi sarebbe la letteratura successiva, senza la filosofia greca non ci sarebbe il pensiero successivo, quello che oggi ci permette di parlare e di batterci per l’emancipazione e contro l’intolleranza.

Nel 2019, quando si insediò come presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyden disse nel suo discorso al parlamento di Bruxelles che la civiltà europea è figlia della filosofia greca e del diritto romano. Senza scomodare il ruolo della religione in un contesto laico come quello del parlamento, l’Europa nasce grazie a quelle due civiltà, certificando così in un elevato contesto politico ciò che praticamente qualsiasi storico confermerebbe. Mettere in discussione i classici significa dunque mettere in discussione la nostra società contemporanea e la nostra libertà. Se apparentemente parliamo di pochi attivisti zelanti divisi da noi da un oceano, parliamo in realtà di qualcosa che ci riguarda più da vicino di quanto si possa pensare, nonostante in Italia si tenda ad osservarla da semplici spettatori.

La cultura classica rappresenta senza ombra di dubbio un pezzo di storia del nostro Paese e del nostro continente, influenza gran parte della nostra società ed è un fattore che contribuisce all’attrattività dell’Italia a livello globale. Non c’è bisogno di dilungarsi in esempi specifici: prendersela con la cultura classica significa anche prendersela con l’Italia e con l’Europa.

Non è un caso che in un Paese a noi vicino e da sempre particolarmente attento alla cultura, come la Francia, si sia iniziato a prendere le distanze da questa tendenza, nel timore che la messa all’indice della cultura classica possa trasformarsi da una forma di fanatismo di nicchia a qualcosa di più diffuso e grave. Sul quotidiano Le Figaro, un nutrito gruppo di storici ha lanciato quindi un appello attaccando chi oggi vuole cancellare i classici “per odio di sé o per volontà mortale di autodistruzione”.

Una voce, quella degli storici francesi, che va ad aggiungersi all’appello contro la cancel culture firmato lo scorso luglio da 150 personalità tra cui J.K. Rowling, Salman Rushdie e Noam Chomsky e pubblicato su Harper’s e a numerose altre voci che in questi mesi hanno manifestato il pensiero secondo cui questo fanatismo della cancellazione non promuova i giusti valori che vorrebbe portare avanti come la lotta all’intolleranza e al razzismo, ma rischi tra le altre cose di creare un vuoto culturale e creativo.

Sarebbe giusto che anche nel nostro Paese ci si renda conto che questa campagna, seppur lontana, ci riguarda da vicino, e si prenda una posizione chiara e condivisa in favore della cultura classica. Anche perché i filosofi greci e i grandi autori romani saranno stati anche maschi bianchi, ma se oggi possiamo costruire una società inclusiva è anche grazie a loro.

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