Noi, sorvegliati speciali assuefatti al controllo di Stato (di G. Guida Bardi)
Persino chi grida in un teatro frasi ovvie ma vagamente allusive va identificato. Il caso della Scala di Milano non è una novità di questo Governo. Ma il mantra polveroso di una società di diseguali a cui da troppo tempo tutti, o quasi, accettano di conformarsi
Nel 1976 Michel Foucault pubblicò “Sorvegliare e punire”, un saggio che descrive la società in cui la prigione è solo una tessera del più ampio mosaico di un sistema sotto controllo. Una comunità in cui luoghi di lavoro o di svago, le scuole, le caserme, ogni istituzione sono sottoposte a una sorveglianza pervasiva. Tutto è vigilato, anche se in maniera diseguale: il controllore vede e sa. Sempre. Il controllato, invece, ignora quando lo spiano. Ma sa bene che c’è chi lo spia. Nella società del controllo il disagio è inevitabile per chi non segue il modello prefabbricato, predisegnato, preordinato. Chi segue le regole, sta bene. Chi non lo fa, soffrirà. Chi si normalizza e si muove nei giusti binari, sarà premiato. Chi non lo fa, sarà punito. Lo strumento per realizzare questa società binaria e controllata è, per l’appunto, l’identificazione. I documenti. La schedatura. Le informazioni. I dossier.
Esattamente quello che è successo a Marco Vizzardelli, l’estroso e ingenuo melomane che ha pensato di vociare dal loggione della Scala “W l’Italia antifascista”, lo scorso 7 dicembre, Sant’Ambrogio. Quel giorno codino in cui l’Italia codina assiste al rito codino di una rappresentazione di reciproco riconoscimento sociale delle élites. Il giorno della prima della stagione operistica del Teatro alla Scala di Milano esprime, da sempre e non solo con il governo delle destre, quel modello sociale binario: integrati/sovversivi. Uno schema culturale al quale non sfugge neppure l’ignaro loggionista: «Ho urlato perché in Italia sento un profumo di fascismo. Non volevo ascoltare l’Inno con un presidente del Senato che ha in casa il busto di Mussolini». Sic.
E così anche Vizzardelli ha avuto il suo quarto d’ora di celebrità. Come in un romanzo di Kafka, ma in versione Lidl, lo raggiungono gli agenti della Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali, la Digos. Già il nome dovrebbe suscitare terrore e, per l’appunto, lo identificano. Gli chiedono i documenti e, quel che è peggio, lui li consegna. Anzi, li fotografa col suo telefonino (quello della polizia non funziona) e li invia, chinando di buon grado il capo alla propria normalizzazione. Intanto il culturame grida allo scandalo, al clima pesante del Paese, al fascismo che ritorna strisciante. A Vizzardelli è dedicata qualche apparizione nel santuario televisivo, un paio di editoriali benpensanti. I martiri da salotto esibiscono a favore di telecamera i loro documenti: si autoidentificano per un po’ di pelosa e veloce solidarietà all’urlatore loggionista. Ancora per qualche giorno seguiranno un altro po’ di strumentalizzazioni bigotte e poi, c’è da giurarci, ci si dimenticherà di questo perché qualcuno fermerà un altro treno in corsa, o perché qualcuno ha messo una stella rossa a sormontare l’albero di Natale della Capitale o perché qualcun altro ha messo liquido verde nei navigli. Invece quella richiesta di “identificazione” è grave. Gravissima. Perché denuncia un clima, è vero. Ma non un clima recente. Un clima che ha oramai troppi anni e al quale sembriamo assuefatti.
Quello in cui è obbligatorio avere con sé i documenti, anche se si passeggia per strada, anche se si mangia una pizza, anche se si dice un’ovvietà retorica in un teatro impomatato. Un mondo in cui dobbiamo continuamente essere visionati dalle telecamere, seguiti, verificati, controllati, tarati, giudicati. Normalizzati. Un modello sociale in cui chi si ribella al prototipo binario “bene/male” offerto dallo Stato, vivrà infelice. Ma è lo Stato stesso che si offre di correggere i sovversivi. Il più forte dispone, il più debole obbedisce. Chi grida in un teatro frasi un po’ banali ma vagamente allusive, va identificato, anche se bonariamente. Gentilmente sorvegliato. Messo sotto controllo perché potrebbe essere un deviante dal sistema. Ma non è una novità di questo governo di centro-destra, o di destra, o di destra destra. È il mantra polveroso di una società di diseguali al quale si conformano da troppo tempo tutti. O quasi.