Casellati è il patriarcato che afferma sé stesso con la complicità delle donne
“Elisabetta Casellati potrebbe essere la prima presidente della Repubblica donna. Non l’abbiamo candidata in quanto donna, ma per la sua storia. Il centrodestra ha messo sul tavolo del Paese il massimo. Ripeto non c’è una figura superiore. L’atteggiamento della sinistra è deludente”. Lo ha detto Salvini in conferenza stampa.
Il cortocircuito è completo. È il patriarcato che ancora una volta eleva sé stesso. Tutto per un puro esercizio di potere. Le donne nella corsa al Quirinale hanno semplicemente, ancora una volta, abdicato a favore degli uomini, lasciando spazio e modo ai vertici di partito di raccontarci la favola per cui il nome di Elisabetta Casellati (che non è nemmeno il suo, ma quello preso dal marito, perché il suo è Maria Elisabetta Alberti), sarebbe quello che realizza il sogno di una parità di genere, la chiave per l’accesso alle alte cariche dello Stato anche a noi donne.
D’altronde, Casellati, aveva già dato inizio a questo processo, facendosi eleggere come prima donna presidente del Senato. E anche lì, giubilo. Applausi bipartisan. Il contentino è servito.
Con questa conferenza stampa Salvini fa il bis e dà il meglio di sé. “Non la votiamo in quanto donna però sarebbe il primo presidente delle Repubblica donna”. Un po’ come quelle pubblicità che indicando il detersivo più rapido ed efficace per i piatti sostengono di aiutare le donne nei lavori domestici, ma affermano implicitamente che il compito spetta comunque a loro soltanto.
Quando il nome di Casellati ha iniziato a circolare, la presidente del Senato ha saputo giocare bene la partita, affidandosi a un rigoroso silenzio. Non reagendo alle provocazioni e lasciando che ancora una volta a stabilire le regole fosse il patriarcato della politica che in questo modo non solo si impadronisce del tema delle pari opportunità, ma perpetra sé stesso e si rafforza.
È chiaro che agli occhi dell’attuale classe politica, l’elettorato femminile italiano debba apparire come un boccone mediocre, una preda facile che può gioire per le conquiste di facciata, quelle che profumano di modernità, ma non ne ricordano nemmeno lontanamente le fattezze.
E la colpa è anche un po’ nostra, anzi loro, di quelle donne della politica complici, che servono i nomi sul piatto d’argento per ordire questa o quella strategia di potere, che si prestano ai giochi per esclusivo interesse personale. Meloni in primis, che ancora una volta ci ricorda che alla fine è sempre la destra a proporre le donne per i vertici, istituzionali e non.
Grazie Meloni, il punto è che siamo consapevoli che la società ha prodotto ben di meglio, è che quel meglio ai vostri giochi non partecipa. Quel meglio non sgomita nelle diatribe di palazzo, è altrove, a far camminare il Paese reale. Poi, forse, quando il fango si sarà sciolto, qualcuna decidere pure di metterci mano e scendere in campo. Perché a questo teatrino non si assista più.