A uccidere il carabiniere è stato un americano bianco, ma si grida ancora all’immigrato. Perché? (di L. Tosa)
La strumentalizzazione della morte del giovane Mario Cerciello Rega
A uccidere il carabiniere è stato un americano bianco, ma si grida ancora all’immigrato
A freddo. Ve lo dico a freddo. Perché solo a freddo riesco a esprimere pienamente tutto il mio disgusto per quello che è successo nelle ultime 24 ore.
Siete riusciti a prendere un carabiniere morto ammazzato mentre difendeva il proprio paese e trasformarlo in carne da macello della vostra propaganda del terrore.
Siete riusciti a prendere un americano di “razza” bianca e trasformarlo in un nordafricano. E, siccome era biondo e non corrispondeva al vostro ideale di bestia, gli avete messo delle meches in testa per renderlo più simile al genere di assassino che la gente vuole vedere.
Siete riusciti a sputare in faccia, in un solo giorno, a un ragazzo di 35 anni, all’Arma dei Carabinieri e alla divisa tutta, alle istituzioni che rappresentate, a decenni di garantismo, ad ogni singolo principio dello stato di diritto, a 5 milioni di immigrati innocenti.
Siete riusciti a strumentalizzare ogni indiscrezione giornalistica, testimonianza o soffiata che a mano a mano uscivano fuori, a trasformare la nazionalità dei presunti responsabili in un’aggravante, il colore della pelle in un indizio, ogni falsa pista in mangime elettorale da spargere a pugnetti su mandrie di belve assetate di gogna.
Siete riusciti a fare credere tutto questo a decine di milioni di italiani, tirando fuori i più vili e beceri istinti razzisti e xenofobi dalle viscere dell’animo umano, manipolandoli in laboratorio per settimane, mesi, anni, incessantemente, e trasformandoli in qualcosa di cui non bisognava più vergognarsi. Gli avete strappato dalla carne l’odio e l’avete chiamato “essere italiani”. Gli avete preso in prestito la paura e l’avete chiamata “patria”.
Siete riusciti a seminare in giro così tanta intolleranza che, persino di fronte a una confessione piena, c’è chi non riesce ad accettare che non si tratti di un africano. E allora la cosa immediatamente “puzza”, “c’è qualcosa dietro”. “Tutte cazzate.”
E avanti così. Daje all’immigrato, sempre e comunque. Anche contro ogni logica evidenza. Non conta più se è vero, perché ciò che è vero lo decidiamo noi.
Ieri siamo andati tutti a letto chiudendo un’altra pagina di vergogna italiana, senza che nessuno risponderà mai delle centinaia di migliaia di post, tweet, dichiarazioni, like, vere e proprie bufale diffuse e disseminate in rete come virus. Nessuno risponderà di tutto l’odio inoculato nella società, di tutte le verità manipolate, i diritti negati, il prossimo sangue versato e poi sparso in giro.
E non so voi, ma io proprio non riesco a togliermi dalla testa lo sguardo di Mario mentre mostra orgoglioso l’anello al dito insieme alla moglie, appena 43 giorni fa, ora più ora meno. La vita che aveva davanti con quella divisa, quasi una seconda pelle, per lui che si divideva tra l’arma e il volontariato, sempre in silenzio, mai una parola in più, mai una mancanza di rispetto per quelli che tutti chiamano “delinquenti” e che per lui erano semplicemente persone.
E poi la paura. La tremenda solitudine di quella morte nel pieno centro di Roma, con otto coltellate di un balordo nel petto, lasciato solo da quello Stato che serviva con fedeltà cieca, usato per 12 ore dalla politica e poi gettato via quando non serviva più. E via col prossimo caso, col prossimo Mario da spolpare per un pugno di voti e di click, il prossimo barcone da dare in pasto al mostro, la prossima tragedia da strumentalizzare.
Italiani, migranti, rom, ricchi e poveri, fascisti e antifascisti, ong, poliziotti, carabinieri, guardie e ladri, non importa. Tutti servono e tutti rendono, ognuno come una pedina da spostare a piacimento in questo gigantesco teatro dell’orrore che chiamiamo anche Italia.