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Cannavaro e Asprilla, il vostro aneddoto omofobo rappresenta quello che lo sport non dovrebbe essere

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“Una volta siamo andati al ristorante con Crippa per poi andare all’Hollywood. Eravamo in macchina, avevamo bevuto champagne, tequila, di tutto. A un semaforo c’era un finocchio lì, che si vestiva da donna. Allora gli ho detto, “Quanto costa passare la notte con te?””Non costa niente, perché a me non piacciono i neri”. E io: “cosa hai detto pezzo di merda?” Sono andato fuori, lui correva e io dietro, “questo lo picchio” dicevo a Massimo, io con il cinturone dietro a quel finocchio, che è scappato”. Quello di cui vi abbiamo appena trascritto testuali parole è un “simpatico” siparietto andato in onda martedì sera in diretta Instagram. Su quale pagina sarà stato possibile sentire queste amenità, secondo voi? In quella di Borghezio che raccontava dove andava a fare bisboccia negli anni ’80? In quella di Povia che rievoca i fasti delle nottate del suo successo durato come un gatto in tangenziale? In quella di un Adinolfi, particolarmente atletico e scattante? Acqua. E’ accaduto tutto in una diretta (seguita da oltre 2mila persone) tra Fabio Cannavaro (divertitissimo a sganasciarsi dalle risate), ex campione del mondo, ex pallone d’oro ed oggi allenatore di una squadra cinese e Faustino Asprilla, ormai dimenticato calciatore colombiano che ebbe un momento di notorietà italiana in forza al Parma.

Ad onor del vero, Cannavaro non è nuovo a queste uscite: nel 2009, nei suoi anni spagnoli, raccontò di come apprezzasse la Spagna in tutto tranne che sulle nozze appena approvate dal fu Zapatero. (“In quello sono più italiano”, si affrettò a dire). Praticamente ha specificato come apprezzasse i soldi (anche nel caso della storica campagna indimenticabilmente omoerotica di D&G con i giocatori dell’Italia) ma non l’impianto moderno del paese e delle leggi di Zapatero. Dieci anni dopo ci è ricascato riassumendo ancora una volta la prevedibilità del machismo del calcio italiano. Per dirla come la direbbe Fiorello c’è del sessismo, dell’omofobismo, del razzismo ma soprattutto dello stronzismo. Io vi vedo, comunque. State dicendo: “Eh, ma cosa vuoi che sia!” “Erano due battute, take it easy” “Fatevi una risata, che sarà mai, non ha fatto nulla di grave”… e non capite che il problema è esattamente tutto lì. Chiunque, in questo Paese, sia cresciuto come parte di una minoranza a cui sono stati negati i diritti (in questo caso parlo di gay, lesbiche, trans, ma potrei allargare il discorso all’infinito) sa che il medio man, l’uomo eterosessuale medio usa questo linguaggio e questi epiteti in privato.

Siamo consci del fatto che sarà così ancora per molto tempo, perché una parte della popolazione (e soprattutto dei nostri governanti) continua a volerci crescere con uno standard maschilista, omofobo e misogino, che viene tramandato da secoli e secoli. La cosa che ci fa più incazzare è che dopo anni di lotta all’omofobia, di racconti di come le parole possano ancora far male, i personaggi pubblici non hanno ancora capito che devono avere la decenza di collegare il cervello quando parlano. Di capire che hanno una responsabilità davanti alle persone che le ascoltano e che devono far quello che possono nel loro piccolo per rendere il mondo come lo vorrebbero. Quello che “la disciplina sportiva” vuole insegnare non è questo. Questo non è sport, le risatine non sono civiltà. E’ solo ignoranza. Anzi nemmeno. Nel 2020 non si può definire l’omotransfobia ignoranza, ma stupidità, maleducazione, cattiveria. Per quello lo sport non vi merita. Per quello lo sport non merita di essere rappresentato da gente come voi. Oggi meno che mai.

Leggi anche:

1. La Fase 2 e i diritti Lgbt negati: l’Italia non è la famiglia del Mulino Bianco / 2. Lettera a Riki: parli male delle “checche”, ma la rivoluzione omosessuale è partita da loro / 3. Daria Bignardi: “Quando uno dice la verità poi tutto gira meglio”

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