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Home » Opinioni

No, la cannabis light non è droga: cercate di informarvi prima di parlare

Immagine di copertina
Credit: Pixabay

Il problema non è la politica, ma l'ignoranza di chi ne parla: la cannabis light è il settore che più di tutti ha trainato l'occupazione giovanile negli ultimi anni. Il commento di Lorenzo Tosa

Siamo negli studi di DiMartedì. Ieri sera. È l’ultima puntata dell’anno e l’ospite è di quelli d’eccezione: il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. L’intervista è l’occasione per tracciare un bilancio dei primi 100 giorni di Governo giallorosso. A un certo punto, il direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, sposta il dibattito sul tema della cannabis light, la cui commercializzazione è stata bocciata due giorni fa direttamente dalla presidente del Senato Elisabetta Casellati, che ha stralciato, di fatto, l’emendamento approvato pochi giorni prima in Commissione Bilancio.

Sallusti si rivolge così al premier: “Ieri c’è stata polemica in Senato per la liberalizzazione della droga leggera”. La chiama proprio così: “droga leggera”. Conte dapprima rimanda la palla al Parlamento (“Non è un nostro problema”), poi, sommessamente, fa notare: “Non si tratta di legalizzazione di una droga, ma della liberalizzazione della canapa dal quantitativo di Thc contenuto”. “Sì, come bere il Lambrusco invece del Barbaresco”, chiosa Sallusti. Applausi in studio. E risata del premier.

Una bufala di una superficialità e di una falsità clamorose passa, come se nulla fosse, in prima serata, tra battute e risatine, senza che nessuno dei giornalisti presenti – tra cui lo stesso conduttore, Giovanni Floris – intervengano a correggere il collega. A chiarire, numeri alla mano, la proporzione dell’abbaglio preso (più o meno consapevolmente) da Sallusti ci pensa su Facebook Luca Fiorentino, fondatore di Cannabidiol Distribution, azienda leader nel settore della cosiddetta cannabis Light.

“La gradazione alcolica del Barbera è di circa 12/13 gradi, quella del Lambrusco di circa 10/11 gradi”, scrive Fiorentino. “La cannabis ‘non legale’ reperibile nelle strade, ha tra il 20 e il 30 per cento di Thc. La cannabis light ha tra lo 0,2 e lo 0,5 per cento di Thc. Per continuare a sostenere questa sua tesi, mi permetta, fortemente distorta, la cannabis light dovrebbe avere tra il 18 e 19 per cento di Thc, ma no, ha invece lo ‘ZERO VIRGOLA’, praticamente irrilevante per il corpo umano”.

In un Paese normale basterebbe questo per chiudere ogni discussione, con tanto di scuse del direttore di uno dei principali giornali italiani per la palese disinformazione. Ma siamo in Italia, e quella parolina, cannabis, che altro non è se non una pianta, nel sentire comune viene ancora associata alla droga. Peggio: alla porta d’accesso alle droghe pesanti, cocaina ed eroina in primis. E pazienza se numerosi studi medici dimostrano come questa affermazione sia totalmente falsa. Pazienza persino se qui non si parla affatto di cannabis tradizionale ma di una sua variante light che conserva una gradazione di principio attivo talmente trascurabile da non poter essere neppure chiamata droga.

Più che tra il Barbaresco e il Lambrusco, c’è la stessa differenza che passa tra la birra e la birra analcolica. La prima dà ebbrezza, la seconda no. Semplice. Forse troppo semplice, in un Paese inchiodato a una visione medievale di un tema in realtà serissimo e in cui un ex ministro degli Interni è libero di definire il comparto della cannabis light nientemeno che “Spaccio di Stato”, nel silenzio assordante di una maggioranza più preoccupata di non perdere voti che di difendere i posti di lavoro. Tanti posti di lavoro.

“Parliamo di un settore che coinvolge 12.000 famiglie e 3.000 imprese: come e più dell’Ilva”, ricorda Fiorentino. Dietro l’ipocrisia e la pavidità di un’intera classe politica, balla un tavolo di crisi che ha pochi paragoni nel Paese e che viene trattato alla stregua di un fenomeno semi-delinquenziale.

“Quello che ha fatto la Casellati è di una gravità istituzionale senza precedenti”, prosegue il fondatore di Cannabidiol Distribution. “Obbedendo al volere dell’opposizione, ha stralciato senza alcuna legittimità un emendamento approvato pochi giorni prima in Commissione Bilancio, calpestando il potere legislativo del Parlamento e facendo credere che l’unica strada percorribile fosse quella di un disegno di legge. Peccato che un Ddl sul tema esista da tempo, firmato da 50 senatori, che la stessa presidente Casellati si è sempre ben guardata dal calendarizzare. Ma la vera delusione è il silenzio complice di Partito democratico e Italia Viva che si guardano bene dal combattere una battaglia che dovrebbe invece apparteneregli”.

E così, nel silenzio generale, un intero settore continua ogni giorno a morire un po’ di più, ignorato da maggioranza e minoranza, governo e opposizione. Parliamo del settore che, più di ogni altro in questi anni, ha favorito l’occupazione giovanile – basta un numero, su tutti: dei 12.000 lavoratori impiegati, ben 10.000 sono under 30 (più dell’80 per cento del totale) – e rilanciato la coltivazione dei terreni (in tanti in questi tre anni sono passati da colture tradizionali alla ben più redditizia canapa), per un giro d’affari che, se fosse stato regolamentato, avrebbe generato, secondo diverse stime, tra i 40mila e i 60mila posti di lavoro e un mercato complessivo da circa 2 miliardi di euro.

L’ultima speranza si chiama Milleproroghe, dove potrebbe trovare spazio un decreto ad hoc, mentre diversi imprenditori del settore stanno anche valutando di far ricorso alla Corte costituzionale contro lo strappo della presidente Casellati in Senato. Ma il vero nodo, quando si parla di Cannabis light, è culturale, prima ancora che politico. “Finché si continuerà a trattare un fiore senza alcun principio attivo rilevante come una droga o addirittura la strada diretta verso il buco – conclude Fiorentino – potranno essere firmati anche cento, mille decreti, ma questa battaglia non la vinceremo mai”.

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