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La cancel culture esiste ed è un problema, Biancaneve o meno (di S. Mentana)

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Che il dibattito intorno al bacio non consensuale tra Biancaneve e il principe abbia avuto una risonanza superiore alla notizia da cui tutto è partito, possiamo considerarlo un fatto. Questo non significa che il fenomeno definito “cancel culture” sia un’invenzione di questa o quell’altra parte politica. Perché, al contrario, è un fatto che siano state abbattute e vandalizzate statue di Cristoforo Colombo e Winston Churchill, è un fatto che San Francisco abbia deciso di rimuovere i nomi di George Washington e Abramo Lincoln dalle scuole della città, è un fatto che la scrittrice olandese Marjeke Lucas Rijnveld abbia dovuto rinunciare, in quanto bianca, a tradurre le poesie dell’afroamericana Amanda Gorman, ma gli esempi potrebbero essere molti di più.

Da giorni, su giornali e social, c’è chi ci spiega che non esiste nessuna ideologia chiamata “cancel culture”, che è un’invenzione delle destre per difendere le loro posizioni, e che queste notizie sono ingigantite. No, non esiste nessuna ideologia “cancel culture”, non appartiene di per sé a nessuna parte politica, per quanto a qualcuno possa far comodo cavalcarla. Questo termine ombrello che raccoglie tante sfaccettature anche diverse tra loro è infatti prima di tutto un metodo. Un metodo prima di tutto sbagliato, e che per questo andrebbe affrontato senza trasformarlo in un dibattito legato alle ideologie.

Ha poco senso mettersi a definire cosa sia la “cancel culture”, farlo rischia di diventare un esercizio meramente accademico, perché sappiamo bene come l’approdo in Italia di un’espressione anglosassone sia spesso un modo per iniziare una grande ammuina e trasformare il termine in un coperchio buono per tutte le pentole. Ma sotto la famigerata etichetta di cancel culture finiscono ad oggi tanti fenomeni, dall’abbattimento delle statue, alla revisione dei programmi scolastici e universitari, fino al licenziamento e l’oscuramento di persone accusate di aver compiuto qualche fatto inopportuno, con una reazione che spesso e volentieri è spropositata rispetto all’episodio. Tutto che nasce da battaglie nobili e sacrosante, come quelle contro il razzismo e l’intolleranza, ma che sfociano in fenomeni che rischiano di avere effetti ben lontani dagli obiettivi iniziali.

Questo non esclude che per mille ragioni ci arrivino sull’argomento molte notizie alterate, ingigantite, dal bacio di Biancaneve non consensuale a Mozart messo al bando nelle università britanniche. Eppure abbiamo visto come molti episodi di abbattimento delle statue, ad esempio, siano fatti. O che ci siano persone che hanno perso il proprio lavoro per questioni che fanno quanto meno riflettere, come Alexi McCammond, giornalista 27enne, che ha dovuto lasciare quest’anno la direzione di Teen Vogue per dei tweet sugli asiatici pubblicati nel 2011 (aveva 17 anni) e di cui si era scusata nel 2019. Ma ormai la campagna era in moto, e di fronte alla minaccia di alcuni inserzionisti di fare un passo indietro, l’editore Condé Nast ha deciso di rimuovere McCammond dal proprio incarico per evitare un danno economico.

Questioni diverse, avvenute anche per ragioni diverse, ma accomunate dal voler nascondere o cancellare qualcuno o qualcosa. E in ogni caso fatti che implicano una riflessione seria su questo metodo che chiamiamo cancel culture.

Con lo sguardo di oggi, il comportamento di gran parte dei personaggi storici vissuti nei millenni rischia di diventare negativo, ma abbattere le loro statue, cancellarli dai libri di scuola, non è la soluzione. La storia si studia, se non la si vuole ripetere, soprattutto se si parte volendocisi battere per obiettivi nobili come la lotta al razzismo, all’intolleranza e alle ineguaglianze. Ma nella velocissima società di oggi, in cui se ho un dubbio posso avere una risposta in pochi secondi, in cui per aderire a una campagna mi basta un clic o al limite un messaggio, non sembra esserci tempo per l’approfondimento, e a contestualizzare qualcosa si preferisce mettere la polvere sotto il tappeto.

E in tutto ciò, ci mettiamo a discutere di questioni di lana caprina su cosa sia la cancel culture, su come questa o quella parte politica vogliano metterci il cappello o usarla come spauracchio. Quando invece a rischiare di essere messi in pericolo sono la storia, la letteratura, le vite di persone colpite da un metodo che rappresenta il sintomo di una società sempre più veloce e in cui ad affrontare un argomento complesso si preferisce nasconderlo. O forse è il caso di dire, cancellarlo.

Leggi anche: 1. La storia va studiata, non cancellata. Abbattere i monumenti è pericoloso 2. La censura dei classici greci e romani negli USA riguarda anche noi 3. L’autrice bianca non può tradurre Gorman. Qual è il confine tra inclusività e deriva identitaria? 4. Sempre più polarizzati: nel mondo non c’è spazio per le sfumature

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