I cambiamenti climatici ci stanno portando verso la peggiore crisi economica dal dopoguerra, ecco perché
I cambiamenti climatici colpiscono anche i paesi ricchi, uno studio scientifico lo dimostra
I cambiamenti climatici saranno causa di una pericolosa crisi economica
Circola questa falsa illusione per cui i cambiamenti climatici e tutti i loro nefasti effetti ricadano sui Paesi poveri del mondo. È una narrazione pietista e comoda che illude i potenti del mondo (e i ricchi, loro elettori) di essere al riparo da qualsiasi catastrofe alle porte e allo stesso modo consente alle economie ricche di disinteressarsi del tema come se fosse un pericolo esotico e lontano.
Eppure che i Paesi ricchi, Italia compresa, abbiano moltissimo da perdere dai cambiamenti climatici ora è scritto nero su bianco da un autorevole studio pubblicato dallo statunitense National Bureau of Economic Research: Long-Term Macroeconomic Effects of Climate Change: A Cross-Country Analysis.
I ricercatori delle Università di Cambridge (UK), della Southern California (USA), Johns Hopkins (USA) National Tsing Hua University (Taiwan) e del Fondo monetario internazionale hanno preso in esame i dati di 174 Paesi partendo dal 1960 e proiettandoli al 2030 e al 2050 per determinare le variazioni del Pil procapite immaginando due scenari: il “business as usual” che prevede un aumento delle temperature di 4°C prima della fine del secolo e uno scenario che tenga conto dei limiti stabiliti dall’Accordo di Parigi sul clima (ovvero con temperature entro i 2°C).
I risultati parlano chiaro: se non ci sarà una netta inversione di tendenza solo le Bahamas non registreranno perdita di Pil mentre tutti gli altri subiranno perdite per il 7 per cento del Pil entro la fine del secolo. E i dati dimostrano che non esiste nessuna correlazione con la ricchezza e con il clima: Groenlandia – 4 per cento, 10 per cento del suo Pil procapite, la Russia l’8,93 per cento, gli Usa il 10,52 per cento, la Svizzera il 12,24 per cento, il Canada il 13 08 per cento, Islanda -1 per cento, Finlandia -1,02 per cento, Danimarca -1,63 per cento, Norvegia -1,8 per cento, Svezia -2,67 per cento, Germania -1,92 per cento, Regno Unito -3,97 per cento, Francia -5,82 per cento, Spagna -6,39 per cento.
Lo studio tra l’altro esce dopo che l’agenzia per il clima NOAA ha confermato che il mese di luglio di quest’anno sia stato il mese più caldo mai registrato al mondo, il 415esimo mese consecutivo con temperature più alte della media. Il Programma Onu per l’ambiente intanto ha confermato che il 90 per cento dei disastri naturali negli ultimi vent’anni sia strettamente collegato al clima.
Per quanto riguarda l’Italia (dove, vale la pena ricordarlo, il clima si riscalda a velocità doppia rispetto alla media globale) nello scenario “business as usual” i cambiamenti climatici tagliano il nostro Pil procapite dello 0,89 per cento nel 2030, del 2,56 per cento nel 2050 e del 7,01 per cento nel 2100.
Si tratterebbe, per capirci, della più grave crisi economica dal dopoguerra. E forse sarebbe il caso di tenere conto degli impegni sottoscritti proprio nell’Accordo di Parigi (che secondo lo studio limiterebbero le perdite Pil a -0,01 per cento, -0,02 per cento e -0,05 rispettivamente nel 2030, 2050 e 2100) anche nei patti di un futuro possibile governo.