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L’unica domanda a cui Bonafede ancora non risponde: perché non ha più voluto Di Matteo al Dap

Immagine di copertina

“Lo minaccerò solo con un dito”, disse poggiandolo sul grilletto (Stanislaw Lec).

Una storia vera in un Paese privo di memoria. Detestando la consueta prassi del ridurre tutto a tifo da stadio, cercherò di andare indietro con il tempo, con assoluta laicità, per offrire una lettura di ciò che la cronaca ci impone affinché ognuno possa farsi una opinione non condizionata da posizioni vincolate ad interessi di parte. Domenica (il 3 maggio, ndr) a “Non è L’Arena” l’eurodeputato Dino Giarrusso ha detto di non essere al corrente della “trattativa” intercorsa fra Nino Di Matteo e il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede dell’allora Governo Giallo-Verde. Di Matteo telefona in diretta per ristabilire la realtà dei fatti accaduti nel giugno del 2018 quando il Ministro lo chiamò per dirgli che avrebbe voluto affidargli la direzione del Dap (Dipartimento di Amministrazione Penitenziaro) o, in alternativa, la direzione degli Affari Penali. Di Matteo incontra il Ministro e, concorda un giorno di tempo per decidere. Decide per la direzione del Dap.

Scelta condivisibile per chi sa bene che gli Affari Penali, ruolo ricoperto da Giovanni Falcone in attesa che nascesse la sua “creatura”, la Procura Nazionale Antimafia, è divenuta una sorta di scatola vuota nella lotta alla mafia. Ma a quel punto il Ministro gli comunica che il Dap, lo aveva già affidato a Francesco Basentini, procuratore aggiunto in Basilicata che si era occupato dell’inchiesta sulle piattaforme petrolifere che vedeva coinvolto l’Eni ma che mai si era occupato di inchieste sulla mafia o vantasse qualità specifiche per ricoprire un ruolo strategico come la direzione del Dap che, non a caso, viene remunerato al pari del Presidente della Repubblica.

Comprensibilmente, Di Matteo, che non aveva chiesto nulla ma che era stato cercato dal Ministro resta di stucco e anche molto offeso da un simile comportamento e gli dice di non tenerlo più presente per alcun incarico ma il Ministro insiste nel tentativo di convincerlo ad accettare la direzione degli Affari Penali, dove sedeva e siede ancora Donatella Donati, nominata pochi mesi prima dall’ex Ministro della Giustizia Orlando. Donati, che come spiega il Ministro a Di Matteo, non voleva cacciare, ma convincere con la “moral suasion” ad accettare un altro incarico. Dunque, il Ministro stava offrendo a Di Matteo una “poltrona” occupata. E se Di Matteo l’avesse accettata e la Donati non l’avesse liberata quella poltrona cosa sarebbe accaduto?

Bene. Il Ministro insiste e nel tentativo di convincere Di Matteo, per portare a casa del M5S una nomina di pregio (già promessa e disattesa, ricorderete che per raccattare voti promisero Gino Strada Ministro della Sanità, Di Matteo all’Interno, Rodotà candidato al Quirinale ecc…) gli disse: “Non c’è dissenso o mancato gradimento che tenga” in riferimento alla direzione degli Affari Penali ammettendo, di fatto, che dissenso e mancato gradimento sul suo nome vi erano stati per la direzione del Dap. Uno di quei lapsus freudiani che sfuggono al vaglio della ragione. Di Matteo, nell’esporre i fatti, nel suo intervento telefonico, contestualizza aggiungendo che molti boss dalle carceri avevano commentato la sua nomina come la fine per loro. Frase che, evidentemente, fa sobbalzare il Ministro.

Va bene subire decisioni altrui, ma non sia mai che si dica che si è fatto intimorire dai mafiosi, o peggio che sia colluso. Interviene in trasmissione. Si dice esterrefatto, parla, parla ma dimentica l’essenziale: perché dopo aver offerto la direzione del Dap a Di Matteo, ha cambiato idea nell’arco di 24 ore? Chi ha manifestato dissenso e mancato gradimento sulla sua nomina? Non era stata sicuramente farina del suo sacco a meno che non soffrisse di gravi amnesie visto che era stato lui a proporla a Di Matteo? Quanto basta affinché all’indomani si scatenino accuse di ogni genere nei confronti di Di Matteo. “Un magistrato non si vendica in tv dopo due anni…Un magistrato non accusa il Ministro della Giustizia di collusione con la mafia…Un magistrato non partecipa a programmi di quel genere…”.

Ovviamente, Di Matteo non si è vendicato ma ha solo impedito che il suo nome venisse di nuovo strumentalizzato, non ha partecipato ad alcun programma e non ha accusato il Ministro di collusione con la mafia. Il Ministro chiamato a rispondere al question time aggiunge una perla: “Ho proposto a Di Matteo la direzione degli Affari Penali così potevo averlo al mio fianco in via Arenula”. E me te freghi , che fortuna, avrebbe esclamato l’uomo della strada. Ma come si sa non c’è modo migliore per gli stolti che spesso sono anche stupidamente ipocriti, che guardare il dito mentre il dito indica la luna. E a queste accuse false si aggiunge lo sport preferito nel Paese dove da vivi si è scomodi e da morti ammazzati si diventa eroi in bocca a chi ,non avendo nè conoscenza della storia nè argomenti, si serve degli eroi morti, che, in quanto morti, non possono rispondere per le rime: Falcone e Borsellino non avrebbero mai detto questo in tv ecc…E qui chiedo aiuto alla memoria con una premessa: di Giovanni Falcone ne è esistito uno, di Paolo Borsellino anche, ogni paragone con i due magistrati trucidati con gli uomini delle scorte e con Francesca Morvillo moglie di Falcone è strumentale. E utilizzare i loro nomi per apparire più alti è vergognoso, oltre che patetico.

Il 19 gennaio del 1988 a capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo il CSM a Giovanni Falcone aveva preferito Antonino Meli facendo prevalere il criterio dell’anzianità su quello della continuità di quella incredibile esperienza che era il Pool Antimafia diretto da Antonino Caponnetto, che aveva accettato di andare in pensione sicuro di lasciare il testimone a Giovanni Falcone. Tempo sei mesi e gli effetti devastanti di quella nomina non tardarono a palesarsi. Meli non era colluso con la mafia, si badi bene. Paolo Borsellino, procuratore capo a Marsala, non ci sta ad assistere inerme alla disfatta di quella storia gloriosa e il 20 luglio dello stesso anno rilascia un’intervista a L’Unità (organo del PCI) e a La Repubblica sferrando un attacco a Meli e al suo operato spiegando che stava disintegrando il Pool Antimafia, che aveva polverizzato le indagini parcellizzandole…”.

Il CSM lo mette sotto accusa, lui viene interrogato e ribadisce parola per parola e, Giovanni Falcone- che non aveva condiviso quella scelta-non esitò a difenderlo, contrariamente a quanti, colleghi di Di Matteo abbiano fatto oggi. A Falcone quando accettò la proposta del Ministro della Giustizia, Claudio Martelli di andare a dirigere gli Affari Penali dissero di tutto: che si era venduto ai socialisti, al potere politico ecc…Stessa cosa quando, era Agli Affari Penali, andò al Maurizio Costanzo show e sul palco con lui c’era l avvocato della Rete, Alfredo Galasso che gli aveva detto: “Giovanni esci dal Palazzo” mentre Leoluca Orlando lo aveva accusato di aver tenuto i fascicoli nel cassetto. O quando partecipò al programma Samarcanda di Michele Santoro dove si difese dall’accusa che lasciando Palermo, aveva tradito per la carriera politica, spiegando che quello che ricopriva era un “posto riservato ai magistrati fuori ruolo, non ho commesso nessuna irregolarità.”

Di lui, avvocati, giornalisti e colleghi dissero di tutto e di più, lo chiamavano “il fenomeno”,“il giudice sceriffo”. Stiamo parlando di programmi televisivi, non di luoghi istituzionali. I grillini e anche esponenti del Pd che, con il M5S governa, nonostante nella precedente vita sia stato accusato dal Movimento di essere il partito dei mafiosi, per accusare Di Matteo gridano allo scandalo perché il programma di Giletti è trash (io non amo quel genere di show dove tutti urlano a discapito del confronto civile) ma dove tutti corrono perché fa ascolti, tant’è che quella domenica sera famosa, non a caso, c’era ospite il parlamentare europeo del M5S, Dino Giarrusso.

TORNANDO AD OGGI

La questione non si può ridurre alle bizze di due ragazzotti un po’ discoli che alla fine, grazie alle esortazioni del maestro di turno fanno pace, o ad un semplice equivoco nato da una incomprensione di Di Matteo. La questione è politica. Un Ministro della Giustizia, soprattutto se del M5S che ha fatto della trasparenza, del no agli inciuci, delle dirette streaming il suo slogan, ha il dovere politico di dire ai cittadini la verità. E la verità equivale a rivelare chi ha fatto pressioni su di lui affinché retrocedesse dall’affidare l’incarico a Di Matteo. Di rivelare chi ha posto il veto sul suo nome. Esattamente come accadde quando, Governo Renzi, Napolitano pose il veto sulla nomina a Ministro della Giustizia di Nicola Gratteri, fatto che fu proprio Gratteri a raccontare in un programma televisivo senza che nessuno, a quanto ci risulti, si strappò le vesti. Eh sì perché il “no” a Di Matteo con tutto quello che ne è conseguito, 476 fra boss mafiosi e criminali liberati ha una valenza politica anche per la tenuta democratica del Paese.

Certo, non li ha rimandati a casa il Ministro della Giustizia, ma i magistrati di Sorveglianza che, ricevute le richieste, le ha inviate al Dap da cui non è mai giunta alcuna risposta. E Basentini, preferito a Di Matteo al Dap ha mentito dicendo che i detenuti scarcerati erano una quarantina, di cui 4 al 41 bis, mentre ne erano 376, arrivati nel frattempo a 496. Oggi si è appreso, che oltre a chi è stato condannato per aver tenuto in ostaggio il piccolo Di Matteo, poi sciolto nell’acido, sono usciti anche due del Clan Casamonica. E tutto questo non è bastato per rimuovere seduta stante Basentini, il Ministro ha atteso che si dimettesse. E, come se non bastasse, sembrerebbe che grazie ai suoi stretti rapporti amicali con Leonardo Pucci, vicecapo di Gabinetto del Ministro, allievo di Giuseppe Conte all’Università di Firenze, per Basentini sarebbe pronta una poltroncina in una delle tante task-force. Di fronte a tutto questo il Ministro cosa fa? Annuncia che sta preparando un decreto per riportare dentro i detenuti ben sapendo, almeno ce lo auguriamo, che si tratta di una mossa propagandistica. A meno che questo non sia più uno Stato di Diritto in cui il Ministro può introdurre per legge l’obbligo dei Magistrati di Sorveglianza di rivalutare le richieste al termine dell’emergenza Covid-19, cioè una sorta di revisione obbligatoria per farli tornare in carcere. Ma siamo ancora in uno Stato di Diritto, infatti, il decreto è scomparso giusto il tempo di essere stato annunciato.

In conclusione il Guardasigilli deve dimettersi e prima di farlo dovrebbe fare nomi e cognomi in nome di quella verità, che è sempre rivoluzionaria, anche per onorare quel Giovanni Falcone e quel Paolo Borsellino che tiene sempre in punta di lingua, che per la verità, la giustizia, la libertà dalla schiavitù mafiosa e di chi con la mafia convive, hanno dato la vita. Chiudo con la risposta che il boss Frank Coppola diede ad un giudice che mentre lo interrogava gli chiese: cos’è la mafia? Episodio che Giovanni Falcone riporta nel libro scritto con Marcel Padovanì Cose di Cosa Nostra nel capitolo “Messaggi e messaggeri nella mafia”. “Signor giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare Procuratori della Repubblica” esordisce Coppola “uno è intelligentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è cretino, ma proprio lui otterrà il posto”. Non è stata sicuramente la mafia a dire no a Di Matteo, altrimenti dovremmo pensare, cosa inverosimile e pazzesca, vista la sua storia umana e professionale che la mafia ha preferito Dino Petralia (nominato a capo del Dap). Così come il Ministro non ha di certo preferito Basentini a Di Matteo per favorire la mafia. Bonafede, come dice Salvatore Borsellino, sarà pure un galantuomo, ma di certo è un galantuomo dannoso, per sé e per il Paese.

L’articolo è stato originariamente pubblicato sulla pagina Facebook di Sandra Amurri e pubblicato con l’autorizzazione dell’autore

Leggi anche: 1. Il pm Di Matteo: “Bonafede mi ha offerto la nomina a capo del Dap, ma poi ha cambiato idea” /2. Niente Dap per Di Matteo perché avrebbe infastidito i mafiosi? Bonafede dia una risposta chiara /3. Così è potuto uscire dal carcere 41 bis il boss Pasquale Zagaria: il documento /4. Esclusivo TPI: i boss scarcerati sono 498. C’è anche un imprenditore dei Casalesi uscito col Cura Italia

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