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Quella ridicola passerella di Bergamo e lo Stato incapace di chiedere scusa (di G. Gambino)

Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Sarebbe potuto essere un momento di commemorazione collettiva, estesa in primo luogo ai parenti delle seimila vittime, troppe vittime, nella città italiana simbolo della strage da Covid-19. E invece quella di domenica 28 giugno a Bergamo, presso il piazzale del Cimitero Monumentale, è stata una passerella di disonore per politici e istituzioni locali (anche se alcuni sindaci, più dignitosamente, non hanno partecipato). Quelle stesse istituzioni che loro e solo loro avrebbero potuto e dovuto fare qualcosa per evitare tutti quei morti.

Il dolore più grande a una città ferita che non dimentica, e che mai dimenticherà, lo ha inflitto la presenza del Governatore della Lombardia Attilio Fontana. In sfilata di fianco al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al Sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Il tutto trasmesso su Rai 1. Stampa e rappresentanti dei cittadini off limits. Unico presente tra questi ultimi Luca Fusco, presidente del Comitato ‘Noi denunceremo’.

Ma uno Stato che non riesce a chinare il capo e ad ammettere i propri errori, quali che siano, non è uno Stato capace di empatizzare con il proprio popolo. E uno Stato che non riesce a empatizzare con il proprio popolo è uno Stato monco in partenza, che non assolve al suo compito primario, proteggere i propri cittadini, tutti, specie gli ultimi e quelli dimenticati.

Eppure non ci voleva granché, non serviva dire nulla. Non ci saremmo aspettati una parola sulle eventuali responsabilità giudiziarie del Governo o della Regione nella gestione Covid durante il mese cruciale che va dal 23 febbraio al 23 marzo. E invece abbiamo assistito a una fanfara in lutto, ridicola per quel che la cittadinanza si sarebbe aspettata.

Questo ha reso manifesta una cosa più di ogni altra: questo Stato non ha ancora capito davvero cosa sia successo a Bergamo e nella Val Seriana. Non ha compreso che gli uomini che sfilavano in prima fila ieri sera erano gli stessi che a inizio marzo, consapevoli di ciò che gli stava scoppiando tra le mani, non fecero assolutamente nulla. Tenendo aperto ad esempio, il 23 febbraio, l’ospedale di Alzano Lombardo quando è ormai acclarato – grazie alle testimonianze esclusive da noi raccolte – che il pronto soccorso doveva essere chiuso e che per giunta non ha mai subito una seria sanificazione; quegli uomini sono gli stessi che il 2 e il 5 marzo fecero orecchie da mercante di fronte alla raccomandazione ufficiale delle autorità sanitarie di istituire la zona rossa ad Alzano e Nembro (e Orzinuovi). Il tutto in un ping pong infinito e scarica-barilaresco tra governanti locali, regionali e nazionali su chi doveva prendere una decisione. Mentre la gente moriva.

L’unica ragione per cui ciò è potuto avvenire – e, arrivati a questo punto, man mano che il puzzle va costruendosi, non solo è lecito scriverlo ma anche doveroso chiederlo sempre più spesso – è stata una indebita pressione delle imprese, che in quell’area non hanno mai smesso di operare, nemmeno dopo il 23 marzo, e che in presenza di una zona rossa avrebbero dovuto arrestare la produttività, cosa che non era minimamente contemplabile, come abbiamo ampiamente documentato e come ci ha detto il presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti (a cui oggi va la nostra piena solidarietà per le minacce che ha ricevuto in una busta con proiettile).

A Bergamo c’erano uomini d’affari che continuavano ad andare e venire, anche dalla Cina, persino dopo il lockdown. Arrivavano pure con jet privati e poi con auto private da Malpensa o dalla vicina Svizzera a Bergamo. Senza fare la quarantena. E così tanti altri operai costretti a lavorare, vedi il caso Dalmine. Tra salute ed economia, tra diritto alla vita e profitto, indovinate chi ha avuto la meglio?

In questo clima infame la gente è incazzata nera. Quello che è accaduto tra febbraio e maggio – in quei tragici 100 giorni – appare oggi un incubo da cui ci siamo risvegliati bruscamente con una estate calda da vivere per dimenticare tutto al più presto. Dimenticare per rimuovere. Voltare pagina.

Ma questo a Bergamo non è possibile. I cittadini continueranno a fare domande e chiedere giustizia. E per un paese diviso e divisivo su tutto come l’Italia colpisce il fatto che, su questo tema, qui, non ci sia una fazione avversa, sono tutti uniti, senza omertà di sorta, nel chiedere la verità. Ve le ricordate le campane che suonavano a morto? Ve le ricordate le bare stipate sui mezzi militari? Dove erano Fontana e Gallera in quei giorni? Dove era Gori? Dove era Mattarella? La gente moriva e lo Stato non c’era. Ieri, come allora, a Bergamo lo Stato era presente nella forma ma non nella sostanza. Un morto che cammina.

L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:

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