Bastava guardarlo negli occhi per disprezzare chi lui disprezzava
Bastava guardarlo negli occhi e capivi che aveva ragione. Qualsiasi cosa dicesse. E bastava vedere chi erano quelli che parlavano male di lui per capire ancora che aveva ragione lui.
Gino Strada era una di quelle persone di cui era stupendo essere orgogliosi di averlo conosciuto, anche di averlo visto una sola volta, di averci parlato. Quando andava, raramente, in tv, faceva incazzare tutti. Perché diceva che i terroristi non erano solo quelli cattivi, quelli che facevano saltare in aria la gente ma anche quelli buoni, quelli che uccidevano la gente facendola morire di fame, oppure quelli che bombardavano i loro villaggi senza badare se colpivano caserme od ospedali, se uccidevano militari o bambini. Guerra o terrorismo. C’era differenza?
Bastava guardarlo negli occhi per disprezzare chi lui disprezzava. Ancora oggi, se mi incontrate su qualche sentiero dei boschi cimbri è facile che mi becchiate con addosso una maglietta colorata di Emergency. Ne ho a chili. Se apro un cassetto ne escono decine e decine. Certo, non basta una maglietta. E non bastano i soldi. E non bastano gli articoli. E non basta la solidarietà. Ma che cosa si può fare di più? Di fronte ad un mostro di umanità come lui qualsiasi cosa è poco. Io non l’ho mai intervistato Gino. Chissà perché. Ma ho intervistato Cecilia, sua figlia, esattamente 18 anni fa, quando Gino era al centro, come sempre, di eterne polemiche. Odiato dalla destra guerrafondaia, idolatrato dalla sinistra più radicale ma mica tanto dalla sinistra moderata. Cecilia, figlia di un padre “buono”, di un eroe.
Le chiesi: ti crea problemi? “Anche io sono buonissima. Certo è impegnativo avere un padre come Gino”.
Ti senti obbligata a raggiungere le sue vette di eroismo e di bontà?
“No. Però è vero che siamo interessati alle stesse cose”.
Ti dà fastidio che lo riconoscano per strada?
“No. Quando lo fermano per ringraziarlo è piacevole. È lui che quando si sente nel ruolo della rock star si imbarazza molto. Nonostante le apparenze, è schivo”.
Quando appare in tv che cosa fai?
“Non lo guardo quasi mai. A me la televisione non piace e spesso lo sconsiglio di andare in tv. Ci sono troppe trappole in giro. Bisognerebbe che ci fossero in ogni occasione degli interlocutori all’altezza. Anselma Dell’Olio che lo insulta al Maurizio Costanzo Show non mi è apparsa di un livello intellettuale accettabile”.
Perché molti ce l’hanno con lui?
“Dieci anni fa ci riunì tutti e ci disse: ‘Signori, il nostro obiettivo è diventare inutili’. Per diventare inutili non si può fare a meno di parlare di quello che si è visto, di come per costruire la pace e la democrazia ci siano strade diverse dalla violenza”.
Tu lo critichi?
“Spesso. Gino è troppo schematico nei giudizi. Certe affermazioni che magari in bocca ad analisti internazionali, anche non di sinistra, non desterebbero alcun tipo di scandalo perché te le aspetti, in bocca a Gino, fuori dal contesto, sintetizzate, sembrano tremende”.
Tipo che Bush è terrorista come Bin Laden?
“Certo. Però il discorso ha il suo senso. Indagare su che cosa definiamo guerra e che cosa terrorismo non è una follia. Lasciamo dipendere tutto solo dallo status giuridico di chi butta la bomba? Le persone ferite, sul tavolo operatorio, sono tutte uguali. Di fronte a loro la distinzione fra guerra e atto di terrorismo perde valore”.
Che carattere ha tuo padre?
“Non è burbero e incazzoso come sembra. È spiritoso, divertente e vola alto”.
Ha scritto di sé come di un padre assente.
“Fisicamente sì. Ormai da tempo ci vediamo non più di tre mesi l’anno. Quando ero piccola mi è costato. Poi un giorno mi ha portato in Pakistan, a Quetta, e lì mi è risultato chiaro che era giusto così. A Quetta, avevo otto anni, la prima notte ci fu un’emergenza e vidi un bambino col cervello che gli usciva dalla testa, e non era un cartone animato. E giorno dopo giorno bambini esplosi sulle mine che ricominciavano a camminare per merito di Gino. Sono tornata in Italia abbastanza sfasata. Avevo ormai nella testa cose diverse dai miei coetanei”.
Le critiche della destra a tuo padre ti danno fastidio?
“Mi danno più fastidio le critiche di certa sinistra, più guerrafondaia della destra”.
Che cosa facevi con tuo padre quando eri piccola?
“Ci stendevamo sul pavimento e costruivamo grandi città con il Lego. Poi mi raccontava storie molto buffe di animali. Facevamo anche giochi stupidi. Simulavamo di essere una famiglia di orsi. Oppure andavamo ai concerti”.
Passioni in comune?
“Siamo di gusti abbastanza simili. Frankenstein Junior lo sappiamo a memoria e ogni tanto ci ripetiamo lunghe sequenze di battute. Io ho ereditato l’ironia da Gino. E poi sogno come lui. Sono testarda come lui. Sono anche un po’ permalosa come lui”.
In che cosa siete diversi?
“Io forse sono più dolce di lui. Tendo a mediare. Sono meno intransigente”.
La più bella vacanza?
“Un coast to coast negli Stati Uniti. Ci divertimmo molto a scoprire l’America. Tanto per dire quanto Gino sia antiamericano”.
Sei girotondina?
“Non particolarmente. Sono stata a Genova. L’amarezza più grande è stata la tragedia di Carlo Giuliani. Ma anche il fatto che grazie al disastro successo non si è parlato dei temi per i quali eravamo andati lì”.
Gino è stato un padre severo?
“Rigido. Poche regole, ma fondamentali. Forse una sola: il rispetto per gli altri”.
Chiami sempre tuo padre Gino?
“Da poco. Lo chiamo così in pubblico per rimanere un po’ nell’anonimato. Ma quando sono con lui da sola lo chiamo papi”.
Accanto ai grandi uomini ci sono sempre grandi donne.
“Gino non avrebbe mai potuto permettersi di fare quello che ha fatto se non ci fosse stata la mamma, Teresa, che lo sosteneva”.
Ricordi sgridate solenni?
“Ero molto molto piccola, avevo quattro anni, parlavamo di calcio. Mio padre nominò Zenga, mia madre disse: ‘Chi è Zenga?’. Io dissi: ‘Ma sei scema? È il portiere dell’Inter’. E mi arrivò un ceffone da mio padre”.