Bambini abbandonati: il governo invece di attaccare le madri dovrebbe trovare delle soluzioni
Nella mattina di venerdì 12 agosto, intorno alle ore 07:00, un neonato è stato trovato vicino a un cassonetto dei rifiuti nel centro di Taranto, da una passante che stava camminando con il suo cane. Grazie all’allarme dato dalla donna, l’intervento dei sanitari del 118 che hanno preso in cura il neonato è stato tempestivo, e le condizioni di salute del piccolo, secondo quanto riferito dall’Asl, sono buone. Dopo poche ore sono iniziate le ricerche della donna che lo ha partorito, e sono stati immediatamente resi noti alcuni suoi dettagli personali, quali età e nazionalità. La donna ora si trova nello stesso ospedale in cui è ricoverato il bambino che ha partorito e, con ogni probabilità, verrà indagata per abbandono di minore.
A seguito di questa vicenda, il ministro Matteo Salvini scrive sul suo profilo Instagram – sempre più ricettacolo di incitamento all’odio e commenti che rispondono puntuali a quel fomento – “cosa può spingere una “persona” a compiere un gesto così vigliacco e crudele?”. Il termine persona ci tiene a virgolettarlo, per rimandare al fatto che, secondo lui, quella donna non è davvero degna di essere reputata tale.
Non se lo sta chiedendo davvero, dunque, cosa può spingere qualcuno a compiere quel gesto. La risposta, lui e le migliaia di persone che commentano, ce l’hanno già: quella donna ha abbandonato il bambino perché è crudele e vigliacca.
Invece, il minimo che ci si possa aspettare da chi costituisce il governo è che le domande di questo tipo se le ponga per davvero, nelle dovute sedi.
Ogni anno, in Italia, i bambini che vengono lasciati o abbandonati alla nascita sono circa tremila, e i dati ci dicono che quest’anno il numero non diminuirà. Le misure per arginare il fenomeno dell’abbandono esistono, scrive il ministro, forse all’oscuro della loro evidente inefficacia.
Le culle per la vita, ad esempio, tanto care al governo negli ultimi mesi, non rappresentano un servizio sufficientemente utile, e la ragione è da individuare nella loro enorme mal gestione. Il “caso Enea” – risalente allo scorso aprile – è emblematico: le culle per la vita devono garantire discrezione e privacy, eppure, trascorse poche ore dal momento in cui il bambino era stato lasciato nella culla del Policlinico di Milano, la lettera con le parole della madre era di dominio pubblico, insieme al nome e il peso del bambino, generando un’insopportabile e irrispettosa catena di appelli paternalistici dei vari Ezio Greggio di turno a suon di “mamma, torna! Enea è bellissimo, ti aiuteremo noi”.
I bambini abbandonati non stanno diminuendo, e i dati ci dicono che non diminuiranno, dicevamo. Finché la gestione dei servizi quali la culla per la vita sarà all’insegna dell’incuria, finché il governo e la stampa continueranno a esprimere opinioni violente, colpevolizzanti e giudicanti su chi usufruisce di questi servizi, finché il parto in anonimo non diventerà un diritto davvero accessibile (attualmente è difficile anche solo reperire informazioni ufficiali a riguardo, tant’è che le donne che devono essere accompagnate in questo percorso si affidano a realtà di mutualismo dal basso, che si affannano ogni giorno per sopperire a gravissime carenze istituzionali di questo tipo) finché il diritto di aborto sarà in bilico, finché la lama della violenza di genere sarà costantemente affilata, finché le gestanti in condizioni di precarietà verranno scaraventate all’angolo della loro esistenza, i bambini abbandonati non diminuiranno.
E il governo dovrebbe porsi per davvero una serie di domande e riflessioni sulle conseguenze dell’inconsistenza dei diritti riproduttivi, e impegnarsi a trovare delle risposte e, se gli avanzano tempo e senno, persino delle soluzioni.