Balotelli, Liliana Segre: benvenuti nell’Italia razzista e negazionista. Che oggi è maggioranza
Parola d’ordine: negare. Negare sempre. Contro ogni evidenza.
Gad Lerner l’ha riassunto mirabilmente con un post: “Gli insulti contro Liliana Segre erano inventati. I buuu razzisti contro Balotelli li ha sentiti solo lui. È l’ultima moda del negazionismo, versione furba del razzismo”.
Accade, così, che anche episodi che, fino a qualche anno fa, avrebbero ricevuto uno sdegno bipartisan – ipocrita quanto vuoi ma comunque obbligato – oggi finiscono per spaccare l’opinione pubblica come se fossero una faida tra opposte tifoserie.
Di fronte a un ragazzo di quasi trent’anni che viene preso di mira dai tifosi (si fa per dire) avversari e si sfoga scagliando la palla sugli spalti, nessuno si sarebbe sognato di non indignarsi, di non prendere le sue difese, di dargli del bugiardo, del simulatore.
Invece accade. Continuamente. Accade che il tecnico del Verona, Ivan Juric, nel post partita difenda i suoi tifosi: “Ma quali insulti razzisti, solo sfottò”. Accade che il Presidente della Verona attacchi addirittura Balotelli, colpevole di aver infangato il buon nome della città, della società e dei suoi tifosi.
Accade addirittura che l’ex ministro della Famiglia e agli Affari europei, leghista e veronese doc, parli esplicitamente di “gogna mediatica contro Verona”, quasi che fossero i tifosi le vittime e Balotelli il carnefice.
Il rovesciamento della realtà, tutto italico, sui temi del razzismo, dell’omofobia, dei diritti in generale, ora è davvero completo. Ciò che resta del caso Balotelli è un Paese che ha smarrito definitivamente il confine tra diritto di critica e discriminazione, in cui un’intera classe politica non si alza e resta in silenzio in Senato di fronte a una donna di 89 anni sopravvissuta all’Olocausto.
In cui due sindaci – anche loro leghisti – sfilano in parata con la fascia tricolore al Campo della Memoria di Nettuno per rendere omaggio ai caduti della X Mas, tra teste rasate, uniformi e gagliardetti repubblichini.
In cui due studentesse di 14 anni, a Latina, imbrattano i muri del proprio liceo con svastiche e bestemmie. In cui un genitore prende a pugni un ragazzo di 17 anni al grido di “negro di m..”. Tutto questo oggi è diventato normale.
E, se osi denunciare, alzare la voce, lo fai a tuo rischio pericolo perché la maggioranza di questo Paese – è bene che tu lo sappia – non starà della tua parte, aizzata da mandanti politici e morali precisi, con nomi e simboli di partito che tutti conosciamo, che su questo clima soffiano quotidianamente.
Siamo arrivati, non da oggi, a un punto di non ritorno in cui abbiamo costretto il figlio di una deportata ad Auschwitz a dover intervenire sul principale quotidiano italiano per difendere pubblicamente la propria madre; abbiamo messo alla gogna un giocatore che ha osato ribellarsi ai cori razzisti di una curva.
Solo fino a tre anni fa – neppure decenni – sarebbe stato inconcepibile. Oggi è normale. E chi lo fa gode di una protezione politica e culturale che non ha precedenti negli ultimi cento anni.
Di più: possono permettersi di negare la realtà, anche di fronte a immagini, video, testimonianze incrociate. Non importa quanto un fatto sia vero, ma quante persone sono disposte a credere il contrario.
Joseph Goebbels, la mente della propaganda nazista, ne aveva ricavato un dogma: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”.
In un tempo brevissimo, quasi senza accorgercene, siamo passati da un ridimensionismo diffuso (“Esagerati”, “Ma quale fascismo”, “Sono solo idioti”) a un vero e proprio negazionismo di ritorno, per cui i 200 messaggi d’odio ricevuti da Liliana Segre sono inventati, i buuu razzisti li ha sentiti solo Balotelli.
Il principio è semplice: “È la nostra parola contro la vostra. E oggi noi siamo di più. Siamo maggioranza. Fatevene una ragione”. È questo, in fondo, l’aspetto più sinistro e inquietante con cui oggi ci ritroviamo a fare i conti. Perché è esattamente così che è cominciato il fascismo.