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Astensionismo record anche in Umbria ed Emilia-Romagna: così la democrazia diventa oligarchia

Immagine di copertina
Credit: AGF

Il vero vincitore delle regionali in Emilia-Romagna e Umbria non è né il centrodestra né il centrosinistra, ma è l’astensionismo, segno di un distacco tra politica e cittadini che i partiti colpevolmente da troppo tempo fingono di non vedere.

Ormai sta diventando persino frustrante sottolinearlo, tale è l’apatia delle forze parlamentari di fronte a questo problema che di anno in anno si fa più grave. Eppure proprio l’importanza della questione impone di continuare a rimarcare i numeri.

Tra domenica 17 novembre e la mattina di lunedì 18 in Umbria ha votato solo il 52,27% degli aventi diritto: non erano mai stati così pochi. In quelle stesse ore in Emilia-Romagna più di un cittadino su due ha disertato le urne: l’affluenza è stata del 44,47% (e nove anni fa, nel 2015, era andata ancora peggio: 37,71%).

Medesimo andazzo si era registrato il mese scorso alle regionali della Liguria, dove solo il 45,96% dell’elettorato si era smosso per recarsi ai seggi, il dato più basso di sempre nella terra di Sandro Pertini.

Anche alle europee di giugno l’affluenza tra gli italiani era stata la più povera della storia per quel tipo di elezione: aveva votato appena il 49,69% degli aventi diritto. E, allo stesso modo, alle ultime politiche, poco più di due anni fa, il 63,91% degli elettori che si era presentato alle urne era stata la percentuale più bassa di sempre per quanto riguarda le votazioni del Parlamento.

Nell’ultimo decennio l’astensionismo è costantemente cresciuto a tutti i livelli e a ogni latitudine del Paese. E non serve un dottorato in scienze politiche per concludere che dietro questa tendenza chiarissima ci sono sentimenti diffusi di sfiducia, delusione, disinteresse: un malcontento che a ogni tornata elettorale viene a galla ma di cui – al netto di qualche articolo sui giornali – non si discute abbastanza.

È da ormai più di trent’anni, in realtà, che la politica ha iniziato progressivamente a uscire dagli interessi quotidiani della gente comune. Tuttavia da almeno un paio lustri a questa parte si è creato un solco sempre più largo tra i cittadini e i partiti, con questi ultimi di fatto ridotti a circoli chiusi in se stessi, popolati solamente dai propri dirigenti ed eletti e da uno sparuto numero di iscritti, che per giunta talvolta sono tesserati solo sulla carta ma mai realmente coinvolti nella vita della rispettiva formazione.

Le crisi economiche, sanitarie, ambientali, gli innumerevoli scandali giudiziari e il ripetuto ricorso a governi tecnici attraverso “inciuci di palazzo” hanno contribuito non poco a picconare le aspettative che gli elettori nutrono nei confronti di chi dovrebbe rappresentarli. Ma il nocciolo più importante della questione probabilmente sta proprio nell’incapacità stessa da parte dei partiti – arroccati nelle loro stanze – di rappresentare i cittadini e le loro esigenze.

Senza una partecipazione ampia, la democrazia rischia di degradare verso un sistema elitario in cui solo i pochi che partecipano determinano le scelte che riguardano l’intera collettività. La domanda è: ai partiti tutto questo interessa?

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