Amare il proprio lavoro è una trappola capitalista (di E. A. Cech)
Fare un mestiere appagante: ecco il segreto per una buona carriera ma la percezione di sé non dovrebbe dipendere da un’unica istituzione sociale
Da quando è scoppiata la pandemia, molti cittadini americani hanno iniziato a porsi domande sull’inadeguatezza della vita lavorativa che conducono, discutendone con amici e familiari. Non solo: milioni di persone hanno aderito al fenomeno delle “grandi dimissioni” e molti, soprattutto tra i laureati, giurano di essere intenzionati a seguire le proprie passioni e di volersi avventurare in una diversa carriera.
Questo desiderio di un lavoro più pieno di significato, tuttavia, non è nuovo: negli ultimi trent’anni, studenti del college e lavoratori laureati hanno preso decisioni inerenti al percorso delle loro carriere ispirandosi a quello che definisco il “principio della passione”, ossia dare la priorità a un lavoro appagante anche a discapito della sicurezza del proprio posto o di una retribuzione adeguata.
Chi crede in questo principio confida nel fatto che la passione potrebbe compensare la fatica e la necessità di fare gli straordinari. Per molti, quindi, seguire la passione non è soltanto la strada migliore per avere un buon lavoro: è anche la chiave di volta per vivere bene.
Eppure dare la priorità a un lavoro coinvolgente nelle decisioni riguardanti la carriera presenta molti inconvenienti e pone, per altro, anche qualche pericolo esistenziale. A essere sinceri, la forza lavoro dei colletti bianchi non fu ideata per aiutare i lavoratori a coltivare progetti di realizzazione personale, bensì per promuovere gli interessi degli azionisti delle imprese. Quando mettono al centro del significato della loro carriera lavorativa un’occupazione ben retribuita, in pratica le persone cedono il controllo di una parte essenziale della propria idea di sé a datori di lavoro che mirano al profitto e ai flussi e riflussi dell’economia globale.
In più, molte aziende sfruttano la passione dei lavoratori. I più entusiasti si prestano spesso a fare gli straordinari anche se non retribuiti.
*Traduzione di Anna Bissanti © 2021, The Atlantic