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La “guerra” degli aiuti di Stato e i suoi effetti sull’economia mondiale

Immagine di copertina
Il presidente statunitense Joe Biden. Credit: AP

Riceviamo e pubblichiamo di seguito l’intervento di Nunzio Mario Tritto, magistrato della Corte dei conti.

A livello globale si sta diffondendo una nuova tendenza: quella di varare provvedimenti di politica industriale che una volta si sarebbero definiti veri e propri “sussidi” (o “aiuti di Stato”, nella visione europea), che rischiano di innescare un nuovo (e potenzialmente catastrofico) conflitto internazionale.

In effetti, a seguito della crisi pandemica, un po’ dovunque sono state adottate politiche economiche espansive, caratterizzate dall’uso massiccio di contributi statali per rivitalizzare alcuni settori strategici.

Negli Stati Uniti, ad esempio, il fenomeno si è manifestato prima con il cosiddetto Inflation Reduction Act (che prevede 369 miliardi di dollari in sovvenzioni e crediti d’imposta per la diffusione delle energie rinnovabili) e recentemente con il cosiddetto Chips and Science Act che ha stanziato 39 miliardi di dollari in sovvenzioni e prestiti per incentivare la produzione di microprocessori e semiconduttori sul territorio americano.

Tali benefici, tuttavia, potranno essere ottenuti dalle imprese a condizione che vengano rispettate alcune condizioni, tra le quali il divieto di spostare le produzioni in Cina per 10 anni, l’impossibilità di procedere all’acquisto di azioni proprie (c.d. buy-back) o di distribuire dividendi agli azionisti, il miglioramento delle condizioni dei lavoratori (inclusa la prestazione di servizi di assistenza all’infanzia accessibili e con elevati standard qualitativi, il pagamento di salari e stipendi non inferiori ai minimi sindacali, ecc.).

Anche negli Stati europei sono state adottate politiche industriali improntate all’espansione (si pensi al caso emblematico rappresentato dagli incentivi all’efficientamento energetico approvati dall’Italia), anche se la presenza di norme euro-unitarie che vietano gli aiuti di Stato e le sovvenzioni nazionali rappresentano in realtà un notevole ostacolo all’adozione di tali provvedimenti legislativi nel Vecchio continente.

Senza dimenticare, del resto, sussidi ed agevolazioni fiscali approntate (o in via di adozione) da parte di altri grandi potenze economiche mondiali (quali, ad esempio, la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, l’India e Taiwan).

Se l’obiettivo di tutti questi provvedimenti è quello di stimolare alcuni settori strategici dell’economia, non può dirsi che ciò possa ottenersi non rispettando le “regole del gioco” a livello internazionale.

In effetti, non potendo più farsi affidamento su politiche di restrizione alle importazioni (grazie soprattutto al ruolo svolto dall’Organizzazione mondiale del commercio), gli Stati per poter sostenere i propri “campioni” nazionali (o dati settori economici dei quali auspicano la crescita) sono costretti a ricorrere ad altri strumenti (quali i sussidi, le agevolazioni, l’uso del c.d. golden power, ecc.).

E che un netto cambio di visione sia in atto, lo dimostra anche la decisione dell’Unione europea di rinviare «a data da destinarsi» l’adozione del blocco alla produzione di veicoli con motori diesel o a benzina dal 2035, anche a seguito delle proteste dei produttori europei, danneggiati rispetto ai concorrenti americani, cinesi, giapponesi ed indiani da una unilaterale interruzione delle proprie produzioni.

Questa corsa agli incentivi, tuttavia, rischia di scatenare una vera e propria guerra a livello globale, con ripercussioni anche a livello geo-politico (si pensi al “raffreddamento” dei rapporti tra Cina e Stati Uniti, causati anche dalla evidente rivalità economica tra le due superpotenze).

D’altro canto, va rilevato che questa nuova politica industriale avrà effetti anche a livello occupazionale, se è vero che molte imprese stanno pensando di spostare importanti “pezzi” della propria catena produttiva negli Stati che offrono incentivi: si pensi ad esempio alla Volkswagen e all’idea di impiantare la propria giga-factory (ossia uno stabilimento di fabbricazione di batterie per veicoli elettrici) negli Stati Uniti, in modo da poter usufruire di 10 miliardi di dollari di finanziamenti del governo americano.

Com’è evidente, la “guerra” dei sussidi rischia di provocare gravi perturbazioni a livello economico (e non solo). È come se in una gara di atletica leggera solo ad alcuni partecipanti venga permessa l’assunzione di sostanze dopanti che ne migliorino le prestazioni: forse è giunta l’ora di istituire un’organizzazione mondiale che si occupi di queste problematiche. Anche perché i grandi conflitti mondiali sono sempre esplosi pure (e soprattutto) per ragioni economiche.

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