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Alla conquista dell’Africa: i nuovi colonialismi e la globalizzazione devono fare i conti con il continente del futuro

Immagine di copertina
Credit: AP Foto

Guerre. Epidemie. Migrazioni. Per anni il continente è stato il centro delle peggiori crisi mondiali. Ma ora è in cima all’agenda internazionale. E non è solo, come dice Papa Francesco, una miniera da sfruttare. Ecco perché

«Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dallAfrica. Basta soffocare lAfrica: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare. Sia protagonista del suo destino. Il mondo faccia memoria dei disastri compiuti lungo i secoli a danno delle popolazioni locali e non dimentichi questo Paese e questo continente. LAfrica, sorriso e speranza del mondo, conti di più: se ne parli maggiormente, abbia più peso e rappresentanza tra le Nazioni». Ci è voluto il solito papa Francesco per porre nuovamente l’Africa al centro dell’agenda politica globale. Perché non succede, soprattutto in Italia?

Dov’è la politica?
La politica purtroppo non c’è. Parla d’altro, non capisce, non se ne occupa. Bando a ogni populismo, ma l’Africa entra a far parte della nostra agenda quotidiana solo quando un barcone approda sulle coste siciliane e si torna a parlare di blocco navale (inattuabile) o ad assistere al trattenimento indecente di centinaia di persone a pochi metri da riva, affinché la propaganda di alcuni partiti possa andare a buon fine. Poi c’è la realtà. E la realtà ci dice che la globalizzazione ha investito innanzitutto l’Africa. Basti pensare a quando Agnoletto, in qualità di presidente della Lila, denunciava la piaga dell’Aids e la necessità di fornire farmaci ai Paesi africani, indebitati e impossibilitati ad accedere alle cure. Sosteneva, la Lega Italiana per la lotta contro l’aids, che se questa peste contemporanea non fosse stata sconfitta in quel continente non lo sarebbe stata neanche da noi, e ovviamente aveva ragione.

Poi c’era la già citata questione del debito, ma l’alter-mondialismo, da queste parti, è stato spesso irriso e bastonato: talvolta solo verbalmente, talvolta anche fisicamente. Infine c’è la questione demografica. Entro la metà del secolo, la Nigeria dovrebbe superare i 400 milioni di abitanti, il che potrebbe costituire una bomba atomica, soprattutto se dovesse protrarsi la mancanza di risorse e dovesse acutizzarsi la crisi climatica che sta compromettendo l’ecosistema di un continente già provato da fame, miseria e un’instabilità politica senza pari.

La battaglia di Vanessa Nakate
Non a caso, Vanessa Nakate, giovane attivista ugandese per il clima, ribattezzata la “Greta Thunberg africana”, racconta di essersi appassionata alla battaglia per il clima in seguito alle tragedie a ripetizione che hanno sconvolto alcuni tra i Paesi più poveri e fragili al mondo, costretti a fare i conti con un disastro di proporzioni inimmaginabili e dalle conseguenze potenzialmente dirompenti. Nel suo libro “Aprite gli occhi”, ha scritto: «La gente in Uganda, in Africa, e in tutto quello che prende il nome di Sud globale sta perdendo case, raccolti, guadagni, e persino la vita, e qualsiasi speranza di un futuro vivibile, e li sta perdendo ora. Questa situazione non è solo tremenda, è anche ingiusta. Chi ha meno risorse e meno ha contribuito alla crisi si trova a fare i conti con le sue conseguenze peggiori: inondazioni più frequenti e più gravi, siccità più lunghe, ondate di caldo estremo e innalzamento del livello dei mari. Un pianeta più caldo di due gradi centigradi è una condanna a morte per Paesi come l’Uganda. Eppure, già mentre leggete questo libro, siamo sulla buona strada perché le temperature salgano molto, molto di più di due gradi». 

Vanessa Nakate, ancor più di Greta Thunberg, incarna i sogni e le speranze di una generazione che, vent’anni dopo movimento alter-globalista di Seattle e di Genova, ha scandito in tutte le piazze lo slogan: «Un altro mondo è possibile». E quando nel gennaio del 2020, a Davos, l’Associated Press tagliò il suo volto da una foto che le venne scattata, a margine del World Economic Forum, insieme ad altre quattro attiviste, tutte bianche, la sensazione collettiva fu che non fosse stata tagliata solo una persona ma un intero continente. Da quel momento in poi, tuttavia, la sua voce critica e il suo messaggio di denuncia sono stati irrefrenabili. 

La Cina è vicina
Quando, nel ’67, Bellocchio intitolò uno dei suoi film più celebri “La Cina è vicina”, a qualcuno sembrò un azzardo. Oggi la Cina è da noi. Non solo in Occidente ma anche, se non soprattutto, in Africa, dove gli investimenti del colosso asiatico sono ingenti e crescenti e in molti Stati, compreso il Kenya, si studia il cinese mandarino. Si tratta di una colonizzazione economica, assai più intelligente e all’apparenza meno cruenta rispetto a quella europea che ebbe luogo tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Ma sempre di colonizzazione si tratta, figlia dell’intelligenza cinese e della piena comprensione, che hanno a Pechino, ma non nelle cancellerie europee, ahinoi, di quanto l’Africa, per età media, risorse e prospettive, sia il continente del futuro. 

Il punto è che l’Europa pensa ancora di poter depredare le sue ex colonie come fece nei decenni in cui i suoi Stati dominanti costituivano altrettanti imperi. La Cina, al contrario, ha capito come nessun altro la natura multipolare e policentrica del mondo contemporaneo e sta tentando di approfittarne a piene mani. 

La geo-politica di Francesco
La visita di papa Francesco nella RD del Congo e Sud Sudan è stata, soprattutto, una missione diplomatica. Giusto per far comprendere l’arretratezza dell’Occidente in materia, è doveroso raccontare la storia di Mende Nazer, da lei ben descritta, ormai tanti anni fa, insieme al giornalista Damien Lewis, nel libro “Schiava”. Mende, appartenente alla tribù dei Nuba, venne rapita da guerriglieri disumani durante una razzia in cui venne distrutto il suo villaggio, ridotta in schiavitù e acquistata da una facoltosa donna di Khartoum, che la picchiava selvaggiamente quasi ogni giorno, e infine rivenduta alla sorella di questultima, che abitava a Londra essendo moglie di un noto diplomatico sudanese. Ci volle una mobilitazione massiccia, addirittura internazionale, per costringere il governo Blair a concederle l’asilo politico. 

Se la RD del Congo, dunque, è una polveriera dal ’95, il giovane Sud Sudan, resosi indipendente solo nel 2011, soffre a causa di un’economia fragile, delle conseguenze del Covid-19 e della tragica invasione delle locuste del deserto. Infine, ha dovuto fare i conti con il calo del prezzo del petrolio e con tre anni consecutivi di grandi inondazioni, come racconta Jean-Pierre Bodjoko sul numero 4142 de “La civiltà cattolica”.

Tutto questo mentre la città di Chinguetti, in Mauritania, sta rischiando di scomparire per via della sabbia. Ne ha parlato di recente Valerio Cataldi in un bellissimo servizio per Rainews24, fugando ogni dubbio sul ruolo geo-politico, economico e sociale dell’Africa nei decenni a venire. 

Quella del Pontefice è stata, dunque, una missione di pace, l’ennesima mano tesa da parte di colui che aprì il Giubileo della Misericordia a Bangui (capitale della Repubblica Centrafricana) e che prima e meglio di chiunque altro ha espresso il suo sdegno per un modello di sviluppo che sta devastando il pianeta e distruggendo ogni principio di umanità.

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