La storia dell’omicidio di Yara Gambirasio
La ricostruzione del caso dell'uccisione della 13enne di Brembate
Yara Gambirasio storia: la ricostruzione del caso
Yara Gambirasio, 13 anni, scomparve a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, il 26 novembre del 2010.
Alle 18:44 Yara uscì dalla palestra dove praticava ginnastica ritmica per fare ritorno a casa che distava appena 700 metri da dove si allenava, ma le sue tracce vennero perse poco dopo.
Alle 18:49 il suo telefonino venne agganciato dalla cella di Mapello, a tre chilometri da Brembate, poi il segnale scomparve definitivamente.
Il 5 dicembre 2010 Mohammed Fikri, operaio marocchino che lavorava in un cantiere edile di Mapello dove i cani molecolari sembravano aver rilevato le ultime tracce di Yara, venne arrestato mentre era a bordo di una nave diretta a Tangeri.
L’operaio fu incriminato per un’intercettazione telefonica ambientale nella sua lingua, rivelatasi poi priva di valore a causa di una traduzione errata.
L’immigrato risulterà infatti del tutto estraneo alla vicenda e riuscirà a dimostrare che il suo viaggio in Marocco era stato programmato da tempo.
Per il ritrovamento del corpo bisognerà attendere il 26 febbraio del 2011: Yara era in un prato a Chignolo d’Isola, distante 10 chilometri circa da Brembate di Sopra in direzione sud-ovest.
Sul corpo della ragazza vengono rilevati numerosi colpi di spranga sul corpo, un trauma cranico (inferto probabilmente con un sasso), una profonda ferita al collo e almeno sei ferite da arma da taglio. Nessuna di esse letali.
Nei mesi seguenti si ipotizza che la morte sia sopraggiunta in un momento successivo all’aggressione, a causa del freddo e dell’indebolimento dovuto alle lesioni. Sul corpo nessun segno di violenza carnale.
Il 28 maggio si svolgono i funerali nel centro sportivo, seguiti da migliaia di persone e celebrati dal vescovo di Bergamo Francesco Beschi. Durante la cerimonia viene anche letto un messaggio del presidente della Repubblica.
Intanto, lo scrittore e giornalista Roberto Saviano ipotizza un possibile coinvolgimento della criminalità organizzata e del traffico di cocaina nei cantieri edili del bergamasco, ma la pista si rivela infondata.
Saviano afferma che il padre di Yara, il geometra Fulvio Gambirasio, avesse testimoniato contro imprenditori collusi con la camorra e che il rapimento (degenerato in delitto) fosse una ritorsione malavitosa, ma la circostanza venne smentita.
Per tre anni poi le indagini della polizia non portano a novità considerevoli. Fino al 16 giugno 2014 quando viene arrestato Massimo Giuseppe Bossetti, un muratore incensurato di 44 anni, grazie alla coincidenza del suo Dna con quello di “ignoto 1”, rilevato sugli indumenti intimi di Yara, dopo una lunga serie di tentativi per dare un nome e un volto a ignoto 1.
Una prova importante per l’accusa unita al fatto che Bossetti avrebbe stazionato e sarebbe passato ripetutamente con il proprio furgone davanti alla palestra di Yara, come confermato dai video delle telecamere di sorveglianza.
Il 28 febbraio 2015 vengono chiuse le indagini e per Bossetti, che resta l’unico indagato, viene chiesto il rinvio a giudizio.
La difesa ne chiede invece la scarcerazione, valutando poi l’opportunità del rito abbreviato, sostenendo che tra i numerosi reperti di DNA presenti sul corpo sarebbe stata ritrovata una traccia più chiara di quella di Bossetti, relativa a un individuo definito dagli avvocati “Ignoto 2”.
Il 27 aprile 2015 si apre con l’udienza preliminare davanti al GUP del tribunale di Bergamo il processo di primo grado, con l’accusa di omicidio volontario aggravato e calunnia nei confronti di un collega.
Il GUP decide l’apertura del processo davanti alla Corte d’Assise per il 3 luglio 2015.
Il primo luglio 2016 la Corte d’Assise di Bergamo condanna Massimo Bossetti all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio.
La Corte riconosce inoltre l’aggravante della crudeltà e revoca a Bossetti la potestà genitoriale sui suoi tre figli; non viene invece accolta la richiesta del Pubblico Ministero, che aveva chiesto per l’imputato anche l’isolamento diurno per sei mesi.
La Corte, inoltre, dispone risarcimenti pari a 1.300.000 euro, di cui 400.000 euro per ogni genitore di Yara, 150.000 per ogni fratello di Yara e 18.000 euro per gli avvocati. Bossetti viene invece assolto dall’accusa di calunnia.
Poi il processo d’appello che prende il via il 30 giugno 2017.
Il 17 luglio 2017 la Corte d’Appello di Brescia conferma la sentenza del primo grado di giudizio, giudicando Bossetti colpevole e condannandolo all’ergastolo.
Il 12 ottobre 2018 la Cassazione conferma la sentenza, condannando in via definitiva Massimo Bossetti alla pena dell’ergastolo.