“Gli italiani in Venezuela stanno con Guaidò”: la crisi raccontata dai 500mila italiani nel paese
Secondo il direttore de La Voce d'Italia, giornale per la comunità italiana in Venezuela, "gli italiani vogliono subito andare a elezioni per uscire dalla crisi"
“Quando l’Italia dice di non volersi intromettere negli affari di altri paesi, non prende in considerazione che in Venezuela c’è una collettività italiana di oltre 500mila persone che vogliono una risposta concreta. Il governo italiano non può lavarsene le mani: gli italiani qui vogliono andare ad elezioni al più presto”.
A parlare a TPI è Mauro Bafile, direttore de La Voce d’Italia, il giornale fondato a Caracas nel 1950 per gli italiani in Venezuela.
Con 200mila persone iscritte all’Aire e 500mila conteggiate in tutto sul territorio, gli italiani sono la più grande comunità presente a Caracas.
Le risposte del governo italiano alla crisi politica in Venezuela, dove il presidente dell’Assemblea Nazionale Juan Guaidó si è autoproclamato presidente ad interim con l’obiettivo di deporre il governo di Nicolás Maduro, sono state evasive.
Il caso è diventato internazionale: paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Brasile, Francia e Germania che riconoscono Guaidó e altri come Russia, Cina, Turchia e Messico che riconoscono Maduro, la linea dell’Italia è stata più ignava.
Il 1 febbraio c’è stata una riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea a Bucarest: la Svezia ha proposto una mozione per accettare temporaneamente la presidenza di Juan Guaidó fino a nuove elezioni. L’Italia, insieme a Grecia, Austria e Finlandia, hanno bocciato questo riconoscimento formale.
Il premier Giuseppe Conte aveva scelto di seguire la posizione dell’Europa, l’alto rappresentante Federica Mogherini e l’Europarlamento cercavano di dare un ultimatum. Il ministro degli Esteri Moavero era apparentemente d’accordo con Conte.
Matteo Salvini più di una volta si è espresso contro il presidente Maduro. Cosa serve più di questo? Però forse il sottosegretario agli esteri ha più potere dello stesso ministro se è riuscito a fermare tutto.
Ma non è che si è chiesta la testa di Maduro, si è chiesto semplicemente, in un momento tanto critico come quello che sta vivendo il Venezuela, di andare a elezioni. In Italia quanti governi sono caduti in passato? La democrazia è questo: andare alle urne quando c’è una crisi
In verità le elezioni del presidente Maduro sono state considerate nulle praticamente da tutti i paesi democratici, perché molti oppositori erano in carcere e tanti partiti non si sono potuti presentare alle elezioni perché sono stati messi al bando. Non sono state delle elezioni proprio chiare e trasparenti.
Basta vedere le manifestazioni di piazza per capire da che parte sta la nazione. La comunità italiana è un riflesso di quello che vive il paese, perché la collettività italiana è estremamente integrata al tessuto sociale del Venezuela. Soffre delle conseguenze della crisi, come i cittadini venezuelani. Anche gli italiani vogliono che la situazione si sblocchi: ovvero vogliono andare ad elezioni. Raggiungere un governo di transizione dove siano presenti tutte le forze politiche.
Gli italiani vogliono arrivare a un governo di transizione, con o senza Guaidò. La popolazione non vuole grandi cose: vuole appunto le elezioni e vuole misure di carattere economico per sbloccare la crisi.
L’Italia non può lavarsene le mani. per rispetto di tutti gli italiani qui. Non possono 26 paesi sbagliare tutti: la Germania, la Spagna, l’Inghilterra hanno preso chiare posizioni pro Guaidò. Tutti quanti stanno sbagliando?
Sono loro a dettare gli equilibri. Guaidò si può anche dichiarare presidente ad interim, traghettare a elezioni come presa di posizione politica. Ma poi se non si ha l’appoggio di tutte le istituzioni che sono in mano ora del presidente Maduro, non va da nessuna parte. Il potere resta virtuale.
Ora, quando le forze armate si presentano all’esterno sono monolitiche, si presentano compatte. Ma, ormai è risaputo, internamente le forze armate sono spaccate e ci sono correnti interne non più a favore o fedeli a Maduro. Ma nessuno vuole una carneficina o un’invasione esterna. Per ora stanno sul filo del rasoio, ma mantengono un equilibrio.
Sono cinque anni che il paese sta con un prodotto interno lordo del 10 per cento. Nella vita quotidiana significa che non si trovano i generi alimentari di base. A volte per trovare prodotti come il latte, il pane, la farina, bisogna girare cinque o sei supermercati. Per le famiglie è un disastro poter mangiare.
E, ancora più grave, non ci sono le medicine. Non ci sono medicinali per i malati di cancro o terminali. ma neanche le medicine per la febbre e cose comuni. Adesso manca anche la benzina, la luce se ne va, specialmente in provincia le famiglie sono ore e ore senza luce.
Una situazione invivibile. Se prima all’inizio si poteva pensare “C’è una strategia dell’imperialismo internazionale per sconfiggere la rivoluzione bolivariana…” Adesso non si può più pensare in quest’ottica, è proprio forzata.
Sono come il prezzemolo, sono ovunque in Venezuela. Molti a Caracas sì, ma anche a Maracai, a Valencia, a San Cristoval. L’italiano è così integrato che è sparso. E vuole le stesse cose del venezuelano: il cambiamento.
Le multinazionali sono andate via. Con la crisi e l’incertezza politica se la sono data a gambe. Ad eccezione dell’Eni, sono andate via tutte. Non c’è più una multinazionale che abbia grossi interessi. L’Alitalia è andata via, la Fiat è andata via. Sono andati inColombia che gli offre più garanzie e c’è più possibilità per questi investimenti.
Un paese che ha oltre un milione di inflazione, c’è da rendersi conto: si entra in un supermercato per comprare dei prodotti che hanno un prezzo e quando si arriva alla cassa ne hanno un altro. Con una scatola di uova che ti viene a costare più del salario minimo. Sono cose che se non si vivono sulla propria pelle è difficile spiegare.
Come si fa a parlare di libertà di espressione, quando il monopolio della carta ce l’ha il governo? E decide chi può stampare e chi no: e ovviamente stampa solo chi si fa megafono della propaganda governativa. Difficile da spiegare: i maggiori giornali come il National, ormai non esce più nelle edizioni cartacee. Gli storici programmi televisivi di opinione non vanno più in onda.
Queste manifestazioni sono sempre oceaniche, specialmente le ultime. Partecipano persone comuni, che sperano di vedere il paese uscire dalla crisi. La repressione c’è ed è enorme ma con internet, con i social media e con i media internazionali indipendenti non è più possibile nasconderla…
Ma certo, i miei giornalisti per coprire le manifestazioni non vanno normalmente come a una manifestazione a Roma, mettono l’elmetto, il giubbotto antiproiettile, come in una zona di guerra.
C’è sempre uno zoccolo duro di persone che crede ancora onestamente nella rivoluzione. Sarà un 10-15 per cento. C’é anche il chavismo dissidente però, che non è d’accordo con le posizioni di Maduro. Il chavismo è necessario però, anche per gli equilibri interni del paese, per la pluralità.
C’è una sinistra razionale, che crede in quello che dice, che ha un progetto economico e tutto. E poi c’è una sinistra che è rimasta agli anni ’60: è fuori dalla storia. C’è chi confonde la sinistra con la demagogia e con il populismo e questa è sempre stata la grande malattia dell’America Latina.
Forse perché le differenze sociali a volte sono enormi e quindi il popolo tende a sognare a una rivoluzione che possa cambiare le condizioni di vita in tempi molto molto brevi.
Una volta salito al potere, invece di scegliere a modello una sinistra liberale, una sinistra progressista è tornato a parlare con lo stesso linguaggio degli anni ’60, il nazionalismo, il patriottismo, valori che quasi non sembrano della sinistra. Ma se il Chavez, prodotto dell’accademia militare, era giustificato il nazionalismo estremo… Adesso non dovrebbe essere così, e invece è esattamente così.
Mio padre, partigiano italiano scappato in America latina, ha fondato il giornale sotta la dittatura di Perez. Io e mia sorella siamo cresciuti così, per questo poi ho fatto un periodo in Europa. Quello che non avrei mai pensato, è di rivivere oggi ciò che ha vissuto mio padre negli anni ’50: a mio padre fu negata la carta per andare in stampa, e noi siamo una pulce, che parla agli italiani, in confronto agli altri giganti. Eppure, oggi, vedo che le circostanze sono le stesse, le minacce sono le stesse e anche la povertà è la stessa.