Gli ultimi sms di una delle vittime dell’hotel Rigopiano mentre era sotto le macerie
"Vi amo tutti, salutami mamma". È l'ultimo sms che Paola, una delle vittime della valanga che il 18 gennaio colpì l'hotel Rigopiano, avrebbe voluto inviare alla famiglia
“Vi amo tutti, salutami mamma”. È l’ultimo sms che Paola, una delle vittime della valanga che il 18 gennaio colpì l’hotel Rigopiano, avrebbe voluto inviare alla sua famiglia. La sua emoticon a forma di cuore però non è mai stata inviata a causa del segnale assente, così come altri 13 messaggi e 15 telefonate che provò a fare per avvertire i soccorsi.
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Paola Tomassini non è morta sul colpo dopo la valanga, rimanendo in vita per almeno quaranta ore e quarantasette minuti. Lunghe ore in cui aveva capito che probabilmente sarebbe morta sotto le macerie, senza riuscire a contattare nessuno per dare l’allarme.
Secondo gli inquirenti che hanno analizzato il suo telefono nell’ambito dell’inchiesta della procura di Pescara, la donna avrebbe provato ripetutamente a chiamare il 112, spegnendo e riaccendendo spesso il telefono. L’ultimo segnale risale alle 7.37 del 20 gennaio.
La 46enne Paola Tomassini si trovava nell’hotel col suo fidanzato Marco Vagnarelli, anche lui morto sotto le macerie.
L’indagine è ancora in corso. Attualmente ci sono sei indagati, tra amministratori e funzionari pubblici. La Procura di Pescara ha iscritto nel registro degli indagati anche il presidente della provincia di Pescara Antonio Di Marco, il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta e il direttore dell’albergo Bruno Di Tommaso. Fonti giudiziarie riferiscono comunque che si tratta di una prima parte dell’inchiesta che quindi potrebbe allargarsi.
Coinvolti nell’indagine anche due funzionari della provincia, il dirigente delegato alle opere pubbliche Paolo D’Incecco e il responsabile della viabilità provinciale Mauro Di Blasio, e il geometra del comune di Farindola Enrico Colangeli. Le accuse per tutti sono di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose.
Il direttore dell’albergo è indagato anche per la violazione dell’articolo 437 del codice penale che impone di predisporre “apparecchi, impianti, segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro”.
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