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Che ne è del trattato che ha disegnato il Medio oriente?

Immagine di copertina

Cento anni fa, Francia e Regno Unito si sedevano a tavolino per disegnare i confini del Medio oriente. Oggi quell'accordo è ancora in vigore. Ma ha un qualche senso?

Massoud Barzani, presidente del governo del Kurdistan iracheno, lo ha ripetuto a fine gennaio del 2016: “L’era di Sykes-Picot è finita”. Lo aveva già detto anche sul finire del 2014: “L’Iraq non esiste. Esiste solo su una mappa. Il paese si sta uccidendo da solo. Sciiti e sunniti non possono vivere insieme, come vi aspettate che noi viviamo con loro?”

Perorando la vecchia ambizione curda, quella della nascita di uno stato indipendente, Barzani sostiene che l’era Sykes-Picot è finita. Se ha ragione, il Medio oriente così come lo conosciamo è destinato a cambiare.

Ma facciamo un passo indietro, per capire di che parliamo. Che cos’è l‘accordo Sykes-Picot? Prima guerra mondiale: l’impero Ottomano, sconfitto, è al tramonto. Regno Unito e Francia decidono di sedersi al tavolo e di ridefinire le proprie sfere d’influenza nel Medio oriente. La Russia acconsente. Due diplomatici guidano le trattative: il francese François Georges-Picot e il britannico Mark Sykes.

Qualche mese di negoziati e si arriva all’accordo. Era il 1916, esattamente cento anni fa. All’atto pratico, i confini sulle mappe del Medio oriente verranno definiti dopo, ma è l’accordo tra i due diplomatici a segnare la via. Da allora sulle carte geografiche è cambiato molto poco.

(Nell’immagine qui sotto: una mappa mostra i confini disegnati dall’accordo Sykes-Picot del 1916. Credit: FT) 

(Nell’immagine qui sotto: una mappa illustra gli accordi del 1916 tra due diplomatici – il francese François Georges-Picot e il britannico Mark Sykes – che disegnano ad hoc i confini del Medio oriente. A= Francia ; B= Regno Unito ; C= Italia) 

(Nell’immagine qui sotto: com’era suddiviso il Medio oriente nel 1914, prima dell’accordo Sykes-Picot del 1916. Credit: Philippe Rekacewicz)  

Passato un secolo, però, il collasso di quell’ordine non appare più impossibile. Ci sono le migrazioni di massa. Si combattono guerre civili. C’è l’Isis che si espande scavalcando confini nazionali quanto mai porosi, mostrando come le linee sulle mappe geografiche spesso non siano che questo: linee su carta.

In Siria e in Iraq ampie porzioni di territorio sono fuori controllo. La Libia è in una situazione ancor peggiore (da leggere questo pezzo al riguardo). Lo Yemen è un contenitore altrettanto instabile.

L’accordo Sykes-Picot non era perfetto. Non teneva in debito conto le divisioni tribali o etniche. Un esempio: molte linee sulle carte geografiche sono perfettamente rette, tracciate inequivocabilmente solo con un righello.

(Nell’immagine qui sotto: una mappa mostra la distribuzione di musulmani sunniti e sciiti nel Medio oriente. Qui abbiamo raccontato chi sono sunniti e sciiti, dove vivono e perché combattono. Credit: The Shia Revival by Vali Nasr).

Inoltre l’accordo era segreto, e già allora qualcuno aveva storto il naso. Edward Mandell House, consigliere per la politica estera del presidente americano Woodrow Wilson commentò così: “È tutto sbagliato, stanno creando terreno fertile per future guerre”.

Un secolo di storia conferma che in quella regione, di pace, se ne è vista poca. Più di uno studioso ha indicato che in Medio oriente l’accordo di cento anni fa non è stato dimenticato ed è anzi ancora visto come un punto dal quale partire nell’indagare i problemi che affliggono l’area.

Secondo alcuni, persino l’Isis sarebbe una conseguenza dell’ordine tracciato un secolo fa e delle tensioni irrisolte che ne sono scaturite.

Ma altrettanto diffusa è la tesi secondo cui l’occidente è spesso considerato una scusa per mascherare tutti i nodi irrisolti della regione.

Il prodotto dell’accordo Sykes-Picot regge da un secolo: il segno, per alcuni, del fatto che non era perfetto ma neanche così imperfetto. Oppure la prova della mancanza di alternative. Anche se, di alternative, ne parlano in tanti. Compreso il sedicente Stato islamico.

Nell’estate del 2014, avanzando in Siria e in Iraq, l’Isis dichiarava che l’era del trattato Sykes-Picot era finita. “Allah ha distrutto questi confini, i confini dell’accordo Sykes-Picot, e ora un musulmano può entrare in Iraq senza passaporto”: parole contenute in un video diffuso dai combattenti del sedicente Stato Islamico dal titolo Breaking of the Borders, la distruzione dei confini.

Il superamento di quel trattato attraverso il suo abbattimento ha sempre fatto parte del programma del califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Agli occhi di coloro che combattono sotto la bandiera nera del sedicente Stato islamico, l’accordo di cento anni fa è la dimostrazione plastica della volontà occidentale di immischiarsi nelle faccende arabe, al fine di controllare la regione.

E per la propaganda dell’Isis diventa un modo per tenere vivo il fuoco che serve ad alimentare i militanti.

Ma di Sykes-Picot (e quindi di frontiere) non si parla solo nel deserto, tra le fila dell’Isis. Con un intervento sul Telegraph, l’ex responsabile del Foreign Office britannico, William Hague, ha invitato a non considerare immutabili i confini prodotti dall’accordo di cento anni fa.

Per John Bolton, ex ambasciatore statunitense presso le Nazioni Unite, è tempo perso sperare che Siria e Iraq tornino a essere quello che sono stati fino a pochi anni fa: occorre accettare che il mondo è cambiato, meglio agevolare e governare il processo di frazionamento in atto.

Nel 2006 Joe Biden (all’epoca senatore del Delaware, oggi vice-presidente degli Stati Uniti) scriveva sul New York Times che l’Iraq starebbe stato meglio diviso in più parti, e indicava nella Bosnia il modello da seguire. 

Nulla è impossibile, ma il prezzo sarebbe alto. Riscrivere oggi i confini produrrebbe nuove tensioni e ondate migratorie nell’ordine del milione, ricordava sulla Cnn il giornalista Faisal Al Yafai.

Senza contare che né l’America, né l’Europa, né la Turchia né gli altri grandi attori mondiali sarebbero disposti a rimettere in discussione i profili nazionali attuali, né sarebbe facile trovare punti d’intesa.

Oltre a tensioni, conflitti e migrazione si innescherebbero infatti una serie di dinamiche dalle conseguenze imprevedibili. Facile immaginare per esempio un avvicinamento della porzione sciita irachena verso quella sciita in Iran, con ripercussioni geopolitiche tutte da scoprire.

LEGGI: CHI SONO SUNNITI E SCIITI 

LEGGI: L’ISIS RACCONTATO SENZA GIRI DI PAROLE 

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